L’inchiesta

I militari italiani a Kabul e il “riciclatore talebano”

Due strani suicidi, sei ufficiali imputati di truffa e un misterioso affarista afgano

Di Alessandro Mantovani e Andrea Palladino
15 Aprile 2017

Sembra solo un processo per truffa. Una truffa da 36 mila euro su tre auto blindate che non erano abbastanza blindate e furono pagate un po’ troppo dal nostro contingente militare di Herat, nell’Afghanistan oggi di nuovo al centro dell’attenzione del mondo. Inizieranno a risponderne mercoledì 19, all’udienza preliminare fissata al Tribunale militare di Roma, cinque ufficiali già al comando della base di Herat: i colonnelli Amedeo De Maio, Pasquale Napolitano e Ignazio Orgiù (Esercito), il generale Giuseppe Rinaldi e il colonnello Sergio Walter Maria Li Greci (Aeronautica). De Maio, Li Greci e Orgiù sono anche Cavalieri della Repubblica. Il sesto imputato, il colonnello Antonio Muscogiuri, si è impiccato, o almeno così pare, lo scorso 5 aprile al Comando truppe alpine di Bolzano. Indagano la locale Procura e quella militare di Verona.

Non è il primo cadavere in questa storia. È morto anche il capitano Marco Callegaro che fu ritrovato il 25 luglio 2010 con un buco in testa e una pistola per terra, seduto alla scrivania del suo ufficio a Kabul. Suicidio, concluse la Procura di Roma senza mai ipotizzare reati. La moglie, i parenti e gli amici non ci credono. Callegaro era l’addetto ai pagamenti del contingente italiano e prima di morire scrisse in email e messaggi che avrebbe dovuto “denunciare” qualcosa. “Riviste certe cose, presa coscienza”, scrisse su un appunto. Un militare disse al pm che il capitano lamentava “pressioni”, anche a proposito di “macchine”, “dai comandanti” e in particolare “da Muscongiuri”.

A partire dalla morte di Callegaro il procuratore militare di Roma Marco De Paolis e la pm Antonella Masala hanno ordinato il sequestro di tutta la documentazione sulle forniture al contingente, quattro container di carte imbarcati in Afghanistan e scaricati a Roma. Carte arrivate in uno stato di confusione totale: ci sono voluti dieci ufficiali per riordinarle. Quando i magistrati hanno potuto esaminarle erano incredibilmente spariti diversi dossier e ora c’è un’altra inchiesta per sottrazione di documenti, ipotesi gravissima e inquietante. La Procura militare ha messo insieme solo le carte relative a tre veicoli e alla circostanza che i militari pagarono al fornitore afgano il noleggio di auto con blindatura B7, che resiste anche a colpi di grosso calibro e a certi razzi, mentre i mezzi realmente forniti erano più “leggeri”, con una blindatura B6, a prova di kalashnikov. I militari lo sapevano, sostiene l’accusa, ma pagarono lo stesso la differenza, 36 mila euro appunto. “L’accusa non corrisponde ai documenti agli atti”, controbatte l’avvocato Eduardo Boursier Niutta, legale di Li Greci e prima anche di Muscogiuri.

Le macchine fornite dall’afgano erano molte di più, una sessantina, e tra il 2009 e il 2014 hanno trasportato militari italiani, ambasciatori e ministri in visita alle truppe in Afghanistan, con un costo tra i 4.000 e i 7.000 euro al mese a veicolo. Un appalto con molti zeri. E, soprattutto, l’afgano non è uno qualsiasi. Ali Mohamed Bafaiz, 32 anni, viaggia come una trottola per il mondo a giudicare dalle foto che mette su Internet, spesso è a Dubai e fa affari anche in Polonia, dove ha un’impresa e diversi conti bancari compreso uno sul quale, secondo l’intelligence italiana a Kabul, circolano milioni di euro di dubbia origine, anche provenienti dall’Afghanistan. Rapporti dei nostri Servizi lo accostano ad attività di “riciclaggio” collegate a una “organizzazione terroristica talebana”, ma anche all’intelligence Usa. Sarebbe stato inserito in una “black list” e non si capisce perché i militari italiani si rivolgessero proprio a lui, anzi gli consentissero di circolare nella base di Herat dove è stato più volte fotografato con i nostri soldati. Bafaiz è un civile, e dovrebbe occuparsene la Procura della Repubblica di Roma.

L’inchiesta militare però prosegue, nonostante le difficoltà, su tutte le forniture al contingente Italfor, con l’ipotesi che Bafaiz abbia “retribuito” militari italiani anche con soggiorni allo Sheraton di Dubai, intrattenimento incluso. E il governo dovrà rispondere alle interrogazioni del deputato ed ex governatore sardo ex Pdl Mauro Pili e del suo collega Paolo Bolognesi (Pd), che chiede anche di sapere su quali mezzi viaggiavano i militari “feriti o deceduti” in Afghanistan “tra il 2010 e il 2011”.

 

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