Il dossier

Consip dopo Tangentopoli e processo Mediaset, da Craxi a Renzi: l’eterna ossessione per il colpo di Stato dei pm

Da Tangentopoli alla condanna in Cassazione dell’ex Cavaliere: i “maestri” e la nemesi del leader Pd con Consip

Di Fabrizio d’Esposito
17 Settembre 2017

Il fango. Il complotto. Il golpe. La persecuzione giudiziaria. Adesso che nel Pd si evocano “il colpo di Stato” e perfino il Watergate per difendere la famiglia Renzi dall’inchiesta Consip, la nemesi del Pd renziano giunge al suo atroce compimento. Craxi, Berlusconi, Renzi. Un solo filo a legarli in un destino ipergarantista, in cui si è innocenti a prescindere.

Il golpe giudiziario o il golpe dei pm è un classico che origina ovviamente dalla stagione di Mani Pulite. Tangentopoli e il pool di Milano. Un nome su tutti: Antonio Di Pietro. Bettino Craxi definì “un golpe” la perquisizione della sede del Psi nel gennaio del 1993, che nella vasta pubblicistica innocentista è annoverato come l’anno del Terrore giudiziario. Ed è per questo che il leader socialista arrivò a teorizzare la “violenza rivoluzionaria” dei pm milanesi, non disdegnando un altro riferimento classico: la regia invisibile delle inchieste del pool di Mani Pulite. Del resto se è complotto o colpo di Stato, il mandante occulto non può mancare.

Disse Craxi nell’aprile del ’93: “Può capitare nel corso della storia che la violenza nell’uso di un potere sia necessaria e inevitabile, ma è necessario allora che essa sia chiamata con il suo nome, sia riconosciuta ed esaltata come tale e non mistificata e proclamata in nome delle leggi o degli ordinamenti in vigore. In questo caso sapremo senza possibilità di equivoci di essere di fronte a una nuova forza, a una nuova legge e a un nuovo potere. Una ‘rivoluzione’: così sono stati definiti e così molti concepiscono gli avvenimenti di casa nostra”. E ancora, sempre Craxi: “C’è stata violenza nell’uso del potere giudiziario, nell’uso dei sempre più potenti mezzi di comunicazione, c’è stato un eccesso di violenza nella polemica politica, nella critica, nel linguaggio, nei comportamenti”. L’allora segretario del Psi era anche ossessionato dai quotidiani che “fiancheggiavano” i magistrati golpisti. In primo luogo, Repubblica di Eugenio Scalfari: “In piazza Navona sono in cinquemila, e molti levano e agitano il quotidiano Repubblica”. Oggi a completare la nemesi renziana del fu centrosinistra c’è l’attacco portato a magistrati e investigatori del caso Consip proprio dal quotidiano fondato da Scalfari, diretto da Mario Calabresi.

Dal craxismo, Renzi e il Pd hanno mutuato infine un altro giochetto: l’allusione sibillina a “colpi di scena” contro i loro “avversari” del potere giudiziario. Per settimane, infatti, le veline renziane hanno preannunciato la deposizione di Lucia Musti al Csm. In merito non si può non ricordare il celebre “poker d’assi” che Rino Formica, dopo un riunione della segreteria del Psi, anticipò contro Antonio Di Pietro. Ma la mossa di Craxi si risolse in un bluff.

Naturalmente, a raccogliere l’eredità del feroce innocentismo anti-pm di Craxi è stato Silvio Berlusconi. Con lui e il suo ventennio breve, l’uso politico del garantismo, fino a considerare i magistrati come “terroristi rossi” e veri e propri “eversori”, è diventato una patologia. Ecco cosa ha scritto a Stefania Craxi, figlia di Bettino, lo scorso 20 gennaio, a 17 anni dalla morte del leader socialista: “Cara Stefania, è difficile pensare che siano già trascorsi 17 anni da quando ci ha lasciato e molti di più da quando un vero e proprio colpo di Stato lo ha privato del suo ruolo politico e della stessa possibilità di vivere da uomo libero nel suo Paese”.

L’ex Cavaliere, condannato definitivamente per la frode Mediaset, è una sorta di novello Curzio Malaparte nel definire le tecniche dei pm per rovesciare il potere esecutivo. Malaparte, infatti, scrisse Tecnica del colpo di Stato. Un anno fa, Berlusconi ne ha individuati quattro in un corposo dossier allegato alla richiesta di istituire una commissione parlamentare d’inchieste contro il golpismo giudiziario.

Il primo è quello di Mani Pulite: “Un’operazione venuta da lontano, cioè dalla nascita nel 1964 di Magistratura democratica, corrente di estrema sinistra che già teorizzava una via giudiziaria al socialismo, da realizzarsi attraverso l’uso alternativo del diritto da parte di magistrati militanti”. In quel caso, ovviamente, il golpismo era “funzionale” al “disegno politico del Pci-Pds”.

Il secondo colpo di Stato, nella versione berlusconiana, è quello del ribaltone del 1994, con la regia dell’allora capo di Stato Oscar Luigi Scalfaro. Il grimaldello del golpe bianco fu l’avviso di garanzia recapitatogli durante un vertice internazionale a Napoli. Il terzo e il quarto sono più recenti. Nel 2011 c’è “l’intrigo internazionale per far sloggiare Berlusconi da Palazzo Chigi” e due anni dopo c’è la condanna in Cassazione che porta alla sua decadenza. L’ex Cavaliere indicò anche il principale esecutore: Giorgio Napolitano, al Quirinale per nove anni. Renzi gli rispose: “Parlare di golpe è ridicolo. Napolitano è il presidente di tutti”. Ma all’epoca il segretario dem non era ancora premier.

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