Area Expo, il futuro è un puzzle senza tessere

6 Gennaio 2017

L’eredità di Expo continua a pesare sul futuro. Debiti e incertezze su come utilizzare l’area su cui si è svolta l’esposizione. Per tentare di districare la matassa, sta per partire la gara internazionale per individuare chi disegnerà il masterplan. Il bando sarà presentato il 10 gennaio a Milano e l’11 a Londra. Si cerca un soggetto, o più probabilmente un insieme di soggetti professionali, economici e finanziari, in grado di fare due cose: disegnare appunto il masterplan e il suo piano economico (decidere come occupare l’immensa area di 1,2 milioni di metri quadrati, che cosa metterci, dove e con quali costi); e poi gestire la concessione per 50 anni (cioè sviluppare il business immobiliare degli investimenti privati, stimati in 2 miliardi di euro, avendo i diritti di superficie per mezzo secolo in cambio di un canone annuo).

Per la prima attività, è fissata una base d’asta di 3 milioni e vincerà, al ribasso, chi chiederà di meno. Per la seconda, vincerà, al rialzo, chi offrirà il canone più alto al proprietario dell’area (la società Arexpo: 39% del ministro dell’Economia, 21% ciascuno del Comune di Milano e della Regione Lombardia, il resto di Fieramilano). Per uscire dallo stallo che blocca l’area dal 30 ottobre 2015, si cerca dunque una cordata che potrebbe essere formata da uno sviluppatore immobiliare (tipo Hines o Coima di Manfredi Catella, per intenderci), da una grande impresa di costruzioni, da un advisor internazionale e magari anche da una banca o un operatore finanziario. Questo Centauro, un po’ immobiliarista e un po’ demiurgo, sarà per i prossimi 50 anni il regista dell’operazione post Expo e dovrà dar corpo a quella che fino a ora è solo una suggestione: realizzare il “Parco della scienza, del sapere e dell’innovazione”, cioè trovare aziende disposte a impiantarsi nell’area, occupando da un minimo di 250 a un massimo di 480 mila metri quadrati di slp. Il resto sarà a verde, oppure occupato dai due progetti pubblici che dovranno essere l’esca per far arrivare le imprese private: Human Technopole e Università Statale di Milano. Il primo è il contestatissimo progetto che Matteo Renzi aveva affidato all’Istituto italiano di tecnologia di Genova per realizzare un “polo delle scienze della vita”, con promessa di finanziamenti per 1,5 miliardi in dieci anni. Il secondo è il complesso trasloco delle facoltà scientifiche da Città Studi, con costi previsti di almeno 400 milioni.

Un puzzle complicatissimo. Primo problema: i governi che verranno manterranno le promesse fatte da Renzi a Human Technopole e Università Statale? Senza quei soldi, crolla tutto e il progetto tramonterà: perché mai le aziende internazionali dovrebbero decidere di impiantarsi su quei bislacchi terreni (oltretutto privati) tra due autostrade, un carcere e un cimitero, in cui la politica decise nel 2008 di fare Expo? Secondo problema: si troverà il Centauro disposto a comporre la parte privata del puzzle? Terzo problema: dove e in che tempi si troveranno i soldi (almeno 90 milioni) del debito che Arexpo ha verso le banche? (soldi da aggiungere all’1,2 miliardi dei costi pubblici di Expo, altro che bilanci in pareggio!). Quarto problema: come spiegheranno ai cittadini la truffa del verde? La solenne promessa fatta dagli amministratori – in prima fila l’allora sindaco Giuliano Pisapia – era che metà dell’area Expo sarebbe diventata un grande parco, addirittura “il più grande d’Europa” (impossibile, ma è stato detto). Ora scopriamo non solo che il grande parco non ci sarà e che il verde (440 mila metri quadrati) sarà spezzettato in tanti “giardinetti condominiali”, ma anche che Human Technopole e Università Statale saranno conteggiate come aree a standard e non come edificazioni. È l’ultima “sòla” di Expo.

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