Spagna, il porto franco delle mafie in un Paese senza mafia. Con l'ombra del Cremlino

Di Giuseppe Pipitone

Barcellona e la Catalogna, la Costa Brava e la Costa del Sol, le isole Baleari e soprattutto Ibiza, le Canarie e in particolare Tenerife. E poi Murcia, Tarragona, Malaga, Valencia. Senza dimenticare, ovviamente, la capitale: Madrid. Sono diversi i minuti che si impiegano per collocare sulla cartina geografica della Spagna le zone e le città in cui sono presenti e fanno affari le associazioni criminali di stampo mafioso. I clan italiani di Cosa nostra, camorra, 'ndrangheta e Sacra corona unita, ma anche i nigeriani di Black Axe, gli albanesi, i ricchissimi russi: da nord a sud, da est a ovest fino alle isole, la terra del sole sembra essere baciata anche dai tentacoli delle piovre di mezzo mondo. Una descrizione che diventa più accurata – e quindi più lunga – se a comporre questa immaginaria mappa delle mafie in Spagna è chi di associazioni criminali nel Paese iberico si occupa da anni. Come Jose Grinda Gonzales e Juan Jose Rosa Alvarez, due magistrati della Fiscalia contra la corruption e la criminalidad organizada di Madrid, che ilfattoquotidiano.it ha incontrato nella capitale spagnola il 24 maggio 2017.

LA MAPPA DELLE MAFIE IN UN PAESE SENZA MAFIA

In Italia Grinda e Rosa sarebbero due sostituti procuratori della direzione distrettuale antimafia, ma in Spagna quella parola – la parola mafia – non esiste e dunque non esiste neppure la procura antimafia. Per la verità dei vocaboli “Cosa nostra”, “camorra”, “ndrangheta” - cioè le principali associazioni criminali italiane - sono pieni i documenti investigativi che riempiono ogni angolo del piccolo ufficio di Grinda, al primo piano del numero 4 di calle Manuel Silvela a Madrid, dove ha sede la Fiscalia anticorruption. In Spagna, però, per lo Stato le associazioni mafiose sono uguali a tutte le altre organizzazioni criminali: a livello di legge il clan camorristico dei Nuvoletta, solo per fare un esempio, deve essere trattato come una normale banda di scassinatori georgiani. “Se fosse introdotto il reato di associazione mafiosa come in Italia molti dei nostri problemi sarebbero risolti”, dicono i due magistrati, dopo aver finito riempire la cartina geografica della penisola iberica con una serie di pedine corrispondenti, ognuna, ad una diversa organizzazione criminale. “La 'ndrangheta è a Girona e in provincia di Madrid, a Murcia e in Catalogna. La camorra invece è a Barcellona e Tarragona, ma anche a Valencia e Tenerife. Pure a Ibiza c'è la camorra dove storicamente è presente da anni Cosa nostra. Ma la mafia siciliana è anche a Saragozza e ovviamente qui a Madrid”, spiega Rosa, che indaga da anni sulle associazioni mafiose italiane. “A Malaga, invece, c'è un po' di tutto” aggiunge Grinda, che sembra quasi citare la relazione 2016 della direzione investigativa Antimafia italiana. In quel rapporto si segnala l’importanza logistica della Spagna, usata come sponda sia dai narcotrafficanti del Sud America che dai clan europei: in questo senso il Paese iberico è oggi una sorta di porto franco delle associazioni mafiose di mezzo mondo.

IL PORTO FRANCO DELLE PIOVRE

“Tutte le organizzazioni criminali presenti in Spagna trafficano droga: sia all'interno del nostro Paese ma soprattutto in direzione dell'Europa: Italia, Olanda, Francia, Belgio, Germania”, spiega Grinda, che poi sottolinea: “Quando dico tutte le organizzazioni criminali intendo proprio tutte. In Spagna ci sono tutti: italiani, albanesi, nigeriani, ma soprattutto i russi che qui sono la mafia emergente”. Il magistrato spagnolo, infatti, ha condotto negli ultimi anni due importanti inchieste sulle mafie che da Mosca hanno spostato la loro zona d'influenza nella penisola iberica grazie a importanti relazioni con imprenditori e politici di primissimo livello nella madre patria. Operazioni che hanno portato all'arresto di oltre 60 sospetti inclusi quattro boss di primissimo livello. “I russi – continua – si muovono in un territorio più limitato rispetto agli italiani. Potremmo dire che hanno presenze più massicce sul mare: Barcellona,Tarragona, Maiorca, Alicante, Malaga. Questo anche perché è sul mare che arrivano i grossi carichi di cocaina dal Sud America, al contrario della marijuana, che invece arriva dall'Africa e recentemente persino dall'Albania”. Ma come si percepisce la presenza delle mafie in Spagna? I magistrati spagnoli a questo punto fanno una divisione netta: “Se parliamo di preoccupazione, di allarme sociale, allora è chiaro che i più temuti dalla cittadinanza siano i clan georgiani che rapinano appartamenti, persone e negozi. È normale che i cittadini percepiscano maggiormente il pericolo legato all'aggressione della proprietà privata rispetto al riciclaggio di denaro. Anche perché i ladri georgiani neanche li vedi: attirano meno attenzione possibile, spendono poco, hanno case in affitto e automobili usate, quasi tutto quello che guadagnano lo mandano nei loro Paesi d'origine. Qui non lasciano nulla: solo la paura di essere svaligiati di spagnoli e turisti”. La questione diventa più complessa quando si parla di organizzazioni più potenti rispetto ai normali ladri d'appartamento, seppur organizzate in associazioni criminali. “Tutte le mafie – spiega Rosa - scelgono la Spagna per due motivi: intanto perché è qui che arriva la droga dal Sud America. E poi perché è sempre qui che vengono investiti i profitti prodotti dal traffico della stessa droga, messa sul mercato nel resto del mondo”.

Fiscalia Contra la Corruptiòn y la Criminalidad Organizada

DUE PAESI PER UN CLAN

Ed è proprio seguendo le tracce della droga che gli investigatori italiani hanno scoperto come la Spagna sia diventata il “motore” della gestione e lo spaccio di stupefacenti nel vecchio Continente. Un centro nevralgico ormai fondamentale che infatti incide direttamente sul potere dei clan. Nel gennaio del 2016, per esempio, la Dia ha varato un’operazione contro il clan camorristico dei Nuvoletta per traffico internazionale di stupefacenti. Dall'inchiesta è emerso il cambiamento degli equilibri nella gestione del narcotraffico proveniente dalla Spagna, transitato dal clan Polverino – decimato dagli arresti - allo storico alleato Nuvoletta, tornato alla ribalta negli ultimi anni. Le indagini sono state condotte parallelamente da inquirenti italiani e spagnoli: in questo modo è stata ricostruita l'esistenza di vere e proprie succursali delle famiglie mafiose italiane impiantante stabilmente nel Paese iberico. “L'arresto di Domenico Verde – racconta Rosa – ci ha fatto capire che ormai il clan camorristico dei Polverino è presente e lavora nella stessa misura sia in Spagna che in Italia: non ci sono più confini. In Italia spaccia la cocaina che arriva dalla Spagna, qui ricicla il denaro che guadagna in Italia con lo spaccio”. In pratica è come se il business criminale dei Polverino sia suddiviso in due rami rami d'azienda, due settori economici circolari coordinati tra due Paesi.

SOLDI SPORCHI A PUERTA DEL SOL

Secondo il rapporto "Gli investimenti delle mafie”, realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’università Cattolica di Milano per il ministero dell’Interno italiano, il ventaglio dei settori in cui i clan italiani riciclano il denaro è ampio ed eterogeneo: si va dai normali ristoranti e pizzerie agli hotel, dalle attività immobiliari alle aziende edili, dalle società che operano nel settore dei trasporti alla vendita all'ingrosso fino all’agricoltura e alla pesca. A raccontarlo, ancora una volta, sono le indagini, come l’operazione Passion fruit che ha svelato i tentativi d'espansione del gruppo Moccia nel mercato ortofrutticolo di Barcellona. O come la stessa inchiesta che ha decapitato il clan Polverino, pronto ad un investimento milionario - poi saltato – per costruire 25 villette a schiera a Tarragona. La domanda sorge spontanea: come si comportano le aziende e le società dei clan in Spagna? Rispettano le regole o fanno come in Italia, minacciando i concorrenti e drogando il mercato con offerte al ribasso, appalti truccati, dipendenti pagati in nero? “Fino ad ora dobbiamo dire che tendono a rispettare la legge. Al massimo ritardano a pagare le tasse ma non abbiamo mai trovato esempi di aziende in mano a clan che minacciavano concorrenti onesti. Questo perché comunque in Spagna le mafie non hanno il controllo del territorio: qui i mafiosi si comportano da persone normali. Certo poi c'è il sottomondo, cioè quando le stesse persone che gestiscono aziende edili e ristoranti si dedicano al traffico di droga”, dice Grinda che ha forse letto le intercettazioni dell'operazione Terra di Mezzo su Mafia capitale.

NEMICI IN ITALIA ALLEATI A MADRID

Per fare capire quanto siano diffuse le realtà mafiose in Spagna, però, il giudice va oltre: indica un punto alle sue spalle, fuori dalla finestra del suo ufficio. “Da quella parte c'è un ristorante, Toto e Peppino, che è stato ed è al centro di alcune nostre indagini. I proprietari sono Salvatore e Raffaele Romano. Salvatore a dicembre del 2014 è stato ucciso: a sua moglie dissero che vagava nel bosco. E invece lui era andato in Sud America: voleva trattare personalmente con i narcos. Voleva fare affari tagliando fuori il capo, Raffaele Imperiale, che è prigioniero in Italia: ma dal Sud America Romano non è più tornato”. La vicenda di Romano racconta anche altro. Per ricostruire i rapporti tra il ristoratore assassinato e Imperiale, infatti, bisognava sapere che i due fossero esponenti di un unico clan. “In Italia – dice Grinda - non potevano saperlo perché Imperiale e Romano fanno parte di famiglie diverse: non sono un vero e proprio clan. La stessa cosa è successa quando ci siamo occupati del clan Aprea-Romano. I magistrati della procura di Napoli, con i quali collaboriamo da alcuni anni, ci hanno detto che era impossibile operassero insieme, perché a Scampia gli Aprea e i Romano sono stati in guerra tra loro per anni. E invece è così: famiglie diverse, spesso nemiche tra loro in Italia, a Madrid fanno affari insieme”.

Josè Grinda Gonzales

LADRI NELLA LEGGE DA MOSCA A BARCELLONA

E se i principali quartieri delle maggiori città iberiche hanno visto proliferare i ristoranti, gli alberghi e i palazzi gestiti e costruiti dalle mafie che parlano italiano, diverso è il modo in cui le mafie made in Mosca si sono insediati nel Paese. “I russi riciclano molto. Le mafie italiane sono arrivate molto prima, già negli anni '90 ma è la mafia russa che è entrata davvero nell'economia spagnola grazie a investimenti significativi, tutti compiuti nell'argo di 10 anni”, spiega Grinda che quattro mesi fa ha inviato nell'ex Unione Sovietica un'informativa lunga più di 500 pagine sui Vory v Zakone: significa ladri nella legge, ed è il nome che hanno dato alla loro organizzazione i capi dei capi della mafia russa. In quelle pagine non ci sono solo i nomi di gangster e malavitosi ma anche quelli personaggi d'alto livello. Come quello di Michael Cherney e del suo ex partner commerciale Oleg Deripaska: si tratta dei più ricchi magnati russi – e dunque mondiali – nel campo dell'alluminio. Citato nei Panama Papers, titolare di un patrimonio multimiliardario, nel 2014 per Cherney era stato spiccato un mandato di cattura da parte dell'Interpol sulla base delle accuse contestate dal procuratore Grinda. “Partendo dagli affari di un'azienda di ferro ad Alicante siamo riusciti a dimostrare che Cherney è colpevole di associazione a delinquere e riciclaggio di denaro. Abbiamo spedito il nostro fascicolo di indagine alla procura russa: siamo fiduciosi”, continua Grinda, che poi collega all'inchiesta sui “ladri nella legge” le accuse pesanti che sono state avanzate nei suoi confronti in Spagna.

RICATTI E ACCUSE SUL GIUDICE SCOMODO

Alcuni giornali iberici, infatti, hanno recentemente riportato la notizia di una denuncia da parte dell'avvocato spagnolo Ignacio Pelàez, che ha chiesto di riaprire un esposto a carico di Grinda. Le accuse sono infamanti: pedofilia, a causa di alcuni messaggi su twitter che – secondo Pelàez - sarebbero stati inviati dal magistrato ad una minorenne. “È stata la procura russa ad avvertirmi del fatto che l'ex ministro della tecnologia Leonid Reiman ha pagato Ignacio Pelàez, avvocato spagnolo, per accusarmi di essere pedofilo, rovinando così la mia immagine pubblica e causando la mia morte civile”, sostiene Grinda. L'inchiesta sulla mafia russa in Spagna, infatti, ad un certo punto è diventata una spy story fatta di ricatti, vendette e nomi potenti. Molto potenti. Il primo tra tutti è appunto quello di Reiman, il secondo è quello dell'ex ministro della Difesa, Anatolij Serdukov, il terzo è quello del presidente russo, Valdimir Putin. Secondo un cablogramma inviato a Washington dall'ambasciata statunitense a Madrid, Grinda avrebbe rivelato ad un funzionario dell'Fbi che la Russia è ormai “uno stato mafioso virtuale, in cui è impossibile distinguere le attività del governo da quelle delle organizzazioni criminali”. Dall'esito delle indagini del magistrato spagnolo – si legge nel cablogramma svelato da Wikileaks e pubblicato dal The Guardian il 3 gennaio del 2010 - “la Russia e le sue agenzie di intelligence stanno utilizzando boss mafiosi per effettuare operazioni criminali come il traffico d'armi”. La strategia di Mosca, sempre secondo le parole accreditate a Grinda, è di usare “gruppi della criminalità organizzata per fare tutto ciò che il governo non può fare ufficialmente”, come tutta una serie di operazioni per destabilizzare la Turchia o per insediare in Cecenia, Bielorussa e Ucraina personaggi fedeli a Vladimir Putin.

Il ristorante Totò e Peppino a Madrid, citato nelle indagini

FBI, IL CREMLINO E LE INTERCETTAZIONI SU PUTIN

“Io non ho nessuna indagine connessa a Putin”, smentisce tranquillo Grinda. “Wikileaks – continua - racconta quello che un membro dell'Fbi sostiene di aver saputo da me. I fatti sono altri. C'è stata una riunione tra la procura americana e quella spagnola, nel gennaio del 2010, perché gli Usa sollecitavano la lotta contro la mafia russa. Hanno richiesto una collaborazione con la procura spagnola. Sono loro ad averci chiesto aiuto. Lì il procuratore generale spagnolo mi ha chiesto che ponessi il caso della mafia russa. E ho incontrato un uomo del Fbi. Io non posso rivelare quanto è stato detto perché era una riunione privata. Posso solo dire che non c'è nessuna indagine su Putin in Spagna. O almeno: non in quest'ufficio”. I collegamenti con il Cremlino erano stati ipotizzati a causa dei rapporti tra mafiosi russi presenti in Spagna e i due ex ministri di Mosca, che sono appunto Serdukov e Reiman. Nella lunga informativa dei magistrati iberici, tra l'altro, il nome di Putin viene citato tre volte, perché pronunciato da alcuni degli indagati. “Lo ribadisco: non c'è alcuna indagine connessa a Vladimir Putin. Il nostro rapporto è stato inviato alla procura russa con la quale stiamo cercando di collaborare. È la stessa che ha localizzato l'avvocato Pelàez a Mosca, dove ha incontrato Reiman che gli ha chiesto di rivolgermi quelle accuse. Quello che ha fatto Pelaez serviva chiaramente a danneggiare la mia vita pubblica. Ma in dieci anni di indagini sui russi ho capito che con loro vale un vecchio detto spagnolo: o plomo o plata”. Letteralmente – come dice più volte Pablo Escobar nella serie tv Narcos - sarebbe: o piombo o argento. Grinda lo traduce in maniera leggermente diversa: “O ti fai corrompere o causiamo la tua morte civile”.

UN PROBLEMA COMUNE E COMUNITARIO

In Spagna, però, non è solo la geografia criminale che è stata colonizzata dalla presenza dei clan mafiosi di mezzo Continente. Negli ultimi anni anche gli strumenti legislativi iberici sono stati aggiornati e modificati prendendo d'esempio il Paese che in Europa ha più esperienza sul campo della lotta alle mafie e cioè l'Italia. Il rapporto 2016 della Dia ricorda che proprio in Spagna è stato realizzato uno dei pochi esempi di confisca passato in giudicato all’estero. Il riferimento è per i 6 immobili e le 3 imprese di produzione e compravendita di olio confiscate ai fratelli Diego e Ignazio Agrò, originari di Racalmuto, in provincia di Agrigento. “Negli ultimi anni ci sono state delle riforme, soprattutto a partire dal 2010, quando sono state cambiate le norme sul riciclaggio del denaro, ed è stato possibile introdurre il sequestro dei beni, ma la risposta legislativa non è ancora paragonabile a quella italiana”, dice Rosa che insieme a Grinda e ad altri colleghi ha proposto alcuni mesi fa l'introduzione di una nuova riforma: “Abbiamo proposto d'inserire il reato di associazione mafiosa visto che attualmente tutte le organizzazioni criminali sono trattate allo stesso modo. Sarebbe fondamentale anche importare la disciplina della confisca dei beni, così come è stata ideata in Italia”. Più positivo sullo stato della legislazione antimafia spagnola è invece Juan Fernando Lopez Aguilar, ex ministro della giustizia nel primo governo di Josè Zapatero (2004 – 2007) e attuale europarlamentare del Pse: ilfattoquotidiano.it lo ha incontrato il 27 aprile del 2017 a Bruxelles. “Io – dice Lopez Aguilar – credo che la Spagna sia tra le nazioni più evolute sul campo della legislazione antimafia nell'Unione Europea. Questo perché gli altri Paesi membri sottovalutano il problema, lo considerano un'urgenza solo italiana o iberica. È una situazione molto simile a quella vista in passato quando in Spagna eravamo flagellati dal terrorismo e chiedevamo aiuto a Bruxelles. In Europa, però, la consideravano una difficoltà soltanto nostra: adesso si sono accorti che invece il terrorismo è un problema di tutti”. Al netto della legislazione nazionale, Grinda e Rosa lamentano anche diverse difficoltà quando devono intrattenere rapporti con gli altri Paesi dell'Unione Europea. “Ci vogliono regole più omogenee nell'estradizione degli Stati – dicono - Faccio un esempio concreto che è la stesso che ho fatto tre mesi fa al parlamento europeo: se vengono catturati latitanti spagnoli in Francia si riesce ad avere l'estradizione quasi immediatamente. Se invece vengono presi in Germania è sempre un grandissimo problema. Per la verità il sogno sarebbe l'unificazione dei codici penali in Europa, ma ovviamente dovrebbe essere uguale anche la giurisprudenza”.

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