Carry the future – L’ong nata in una notte

La mamma che ha creato una organizzazione da 5mila volontari per suo figlio

 

Cristal arriva nella hall dell’aeroporto di Atene quando sono da poco passate le 10 del mattino e spinge un carrello di pacchi così alto che a malapena si vede la sua testa sbucare. Americana di Los Angeles, origini spagnole e un marito dell’isola greca Kos, sulle spalle ha un volo intercontinentale e decine di valigie: il bagaglio a mano è per i vestiti, gli altri sono pacchi di marsupi e fasce per trasportare i bimbi piccoli. Ma anche giochi e docce portatili. “L’ho combinata grossa vero?”. Scoppia in una risata, mette il cappello e prende le chiavi del furgone. Le giornate per lei in Grecia iniziano all’alba e finiscono quando il sole comincia ad addormentarsi dietro l’orizzonte. Trentadue anni, occhi azzurro ghiaccio e capelli neri, un metro e sessanta di altezza: la fondatrice di Carry the future, la Ong che porta aiuti per i bimbi rifugiati nei campi della Grecia, è tutta lì. “Quando le persone mi chiamano, si aspettano di incontrare la piccola Oprah Winfrey. La vedo quella delusione nei loro volti non appena scoprono che sono una anonima mamma di Glendale”. Ride Cristal e ogni volta si trascina dietro il mondo: fa sembrare le cose semplici. E’ la madre di Leon, ma anche di un progetto nato in una notte quasi per scherzo un anno fa: a ottobre 2015 erano in cinque, oggi sono 5mila volontari che portano aiuti da tutto il mondo.

“La storia è semplice e comincia con una immagine”. E’ il 2 settembre, il piccolo Alan Kurdi viene fotografato con la faccia in giù sulla sabbia della costa turca e quello scatto fa il giro del mondo. Arriva sulle bacheche Facebook degli americani, arriva sul computer di Cristal che quel giorno è al lavoro nell’ufficio della sua impresa dove fa l’interprete. “Mi sono sentita morire. Ho pensato a mio figlio Leon che giocava sul divano, ho pensato che avrei potuto essere la mamma di Alan”. In quel momento Cristal non ha pensato di cambiare il mondo, niente di così ambizioso. “La famiglia di mio marito è greca, esattamente dell’isola di Kos dove c’è stato il maggior numero di sbarchi. Quando sono tornata a casa dal lavoro ho lanciato una raccolta fondi su Indiegogo e fatto un appello su Facebook. Mi sono messa nei panni di quelle donne che devono camminare con i bimbi piccoli in braccio e ho pensato di mandare loro il mio marsupio, quello che avevo usato per Leon”.

L’obiettivo era raccogliere 200 dollari e radunare almeno una decina di fasce per bambini. Cristal ha chattato con qualche amico e poche ore dopo sono arrivate le prime donazioni. “Quando mio marito è tornato dal lavoro gli sono corsa incontro e gli ho detto della mia idea. ‘So cute’, mi ha risposto e poi ha sorriso”. So cute nel senso di “come sei dolce amore mio a pensare che bastino queste cose”, so cute per farla stare zitta dopo averle dato un buffetto sulle guance. “Poi un miracolo. Mi viene la pelle d’oca ogni volta che ci penso. Sono andata a dormire e l’Huffington post che stava seguendo la crisi dei rifugiati ha fatto un articolo sulla mia iniziativa”.

Quando Cristal si è svegliata era successo qualcosa. “Il mio conto online era esploso. Ho ricevuto donazioni da tutto il mondo in pochissime ore. Senza contare che avevo dato l’indirizzo del mio ufficio e nei giorni successivi ho cominciato a ricevere camion di marsupi da tutto il mondo. Dentro c’erano messaggi scritti a mano dalle mamme di ogni nazionalità”. La vita per Cristal è cambiata in quel momento. “Mi sono presa un’aspettativa dal lavoro, ho contattato i primi volontari e siamo partiti. Non avevamo scelta. Tutte quelle persone si erano fidate della mia idea, non potevo deluderle”. Un amico grafico ha disegnato il logo e si è inventato il nome, poi la pagina Facebook e le discussioni infinite.

Mi sono presa un’aspettativa dal lavoro, ho contattato i primi volontari e siamo partiti. Non avevamo scelta

Il primo viaggio a novembre: “Grazie all’aiuto di una volontaria greca, Rita, abbiamo dato vita a una vera e propria squadra. Aspettavamo le navi al porto di Atene e non appena arrivavano mamme con i bambini andavamo loro incontro per aiutarle a indossare i marsupi. In Medio Oriente sono uno strumento poco conosciuto e dobbiamo spiegare nel dettaglio come usarli. All’inizio sono scettici, poi vanno a chiamare amici e parenti perché vengano a provarli anche loro. Quando devi fare chilometri a piedi sono piccole cose che fanno la differenza”. Una squadra di madri che accoglie altre madri e facendosi capire con l’inglese dei gesti spiega perché è utile indossare quella strana fascia.

“I sorrisi che fanno, quelli mi lasciano sempre senza parole. E i bimbi sfiniti si addormentano dopo pochi minuti che li abbiamo messi in groppa alle madri”. Carry the future è iniziata così: un sogno di una mamma, un marito che sorride, un’intera comunità internazionale che risponde. L’unica regola: contare esclusivamente sul volontariato. “Io sono molto cinica con le donazioni che faccio e per questo ci tengo che anche Carry the future sia rigorosa nel suo sistema. Nessuno di noi ha uno stipendio, abbiamo un board di membri che permette di dirigere meglio il progetto e stiamo provando a evolvere: in un primo momento portavamo solo marsupi, ora forniamo anche vestiti e oggetti per i bambini che vanno dai pannolini ai prodotti per l’igiene”.

Ogni due settimane un team tra le tre e le cinque persone arriva in Grecia con decine di pacchi di donazioni: casalinghe, mamme, ma anche professioniste che si prendono una vacanza. Sono Leah, Erin e Laura. La maggior parte è formata da donne che hanno deciso di mettere le loro competenze al servizio della causa: una volta sul posto si rendono conto di quali sono i singoli bisogni e cercano di offrire soluzioni. “E’ una catena. Ognuno può fare qualcosa e ogni viaggio è solo l’inizio di un lungo percorso. Il volontario che torna a casa fa raccolta fondi, parla con gli amici e diffonde un messaggio. E’ così che si diventa una comunità consapevole. Io penso che non tutti possono fare tutto, ma ognuno può fare qualcosa”.

Cristal non è Oprah, e questo probabilmente farà la differenza. “Carry the future non sono io. Ma tutti coloro che la tengono in vita. Siamo nati in una notte e sono state le persone a scegliere che avremmo dovuto farlo. Andiamo avanti, so cute, non trovate?”.

Carry the future – L’ong nata in una notte