Tra favola e mito. La vicenda delle giovani generazioni nell’Italia del dopoguerra ricalca al tempo stesso quella dei “bambini sperduti” sull’Isola che non c’è di Peter Pan e i destini crudeli dei figli di Saturno/Crono, l’antica divinità che i suoi infanti se li divorava. Storia di giovinezze sprecate, al macero; vuoi in quanto confinate nel limbo opacizzante della marginalità, vuoi perché precocemente avvizzite tra le fauci di una vecchiezza padrona e matrigna, che ha sempre continuato a prosciugarle succhiandone avidamente le energie vitali. Così non era sembrato nei giorni lontani del 1945, a Bruno e ai suoi coetanei combattenti. Così apparve in tutta evidenza nelle gelate degli anni che seguirono. L’epopea della guerra partigiana vissuta in prima persona – è il momento eccezionale come l’innamoramento che Bruno inseguirà ancora una volta per il resto dei suoi giorni; attraversando l’esotico e l’avventuroso: dalle sabbie dei deserti maghrebini alle acque sterminate del rio Paranà. Un male di vivere individuale in cui si rispecchiano mali di vivere generazionali; delle generazioni che si susseguono in questa Italia disperante e dissipatrice.