“E chi sono io? La figlia della gallina nera? si diceva in casa quando si era vittima di un sopruso o di una negligenza. L’ultima a essere servita a tavola o a ricevere il bacio della buonanotte poteva lamentarsi di essere trattata come la figlia della gallina nera”. Di fronte alla tovaglia quadrettata di una trattoria di provincia, Gloria Origgi ripercorre la propria infanzia nella Milano degli anni settanta attraverso le parole di casa sua. Si scopre allora quanto sia misero dire “farsi un baffo” quando ci si può “fare un baffo a tortiglioni”; quanto l’espressione “bru bru” calzi all’uomo d’affari arricchito e un po’ cafone; quanto “la sorella di Ciro Menotti” fosse mal pettinata. “Amecche”, “Accalappia-pinconi”, “Spetinenta” e tante altre ancora sono le voci di un lessico famigliare nel quale l’autrice racconta la storia di un’infanzia dorata e dello strappo segnato dalla morte della madre, restituendoci un’immagine dura e scanzonata dell’Italia del nostro passato prossimo.