Chiusa per Covid: sospesa la trasparenza della Pa

Niente accesso agli atti (Foia), anche fino a giugno: ecco con quali conseguenze

Il paradosso è gustoso: mentre l’Italia in emergenza si chiede se sia giusto o meno cedere parte della privacy in nome della tutela della salute, la Pubblica amministrazione chiude i cancelli alla trasparenza per i cittadini. Lo prevede un articolo del decreto Cura Italia: le risposte a richieste di accesso civico e civico generalizzato (il cosiddetto Foia, Freedom of infomation act, ndr) che non abbiano carattere di “indifferibilità e urgenza” sono sospese fino al 31 maggio per gli enti impositori e fino al 15 aprile per tutti gli altri. Se fino a qualche tempo fa ogni cittadino poteva quindi chiedere di consultare gli atti della pubblica amministrazione e aveva diritto a riceverli o a ricevere un rifiuto motivato (da poter impugnare) entro 30 giorni, a causa dell’emergenza questo diritto è stato sospeso. La spiegazione dalla Pa e dai suoi tecnici è che la scelta sia in linea con l’interruzione di tutte le pratiche della Pa perché la riduzione dei ranghi dei dipendenti e lo smart working rendono difficile fornire il servizio – soprattutto in assenza di un’adeguata digitalizzazione – o farlo nei tempi stabiliti dalla legge. Di fatto, però, la trasparenza nei confronti dei cittadini non viene considerata un servizio essenziale.

Per spiegare quali siano i diritti in gioco, si può fare l’esempio dei giornalisti. Per verificare una notizia, un giornalista può aver bisogno di confrontare e analizzare documenti della Pa che non vengono pubblicati autonomamente. Possono chiederne conto agli addetti stampa e ai portavoce, ma non sempre riescono ad ottenere quanto chiesto da chi ha il compito di gestire l’immagine dell’ente. In questo caso, resta l’opportunità di appellarsi a un diritto previsto per legge e dopo molte battaglie – il Foia – che, però, proprio quando in nome dell’emergenza saltano molte tutele normative e c’è una corsa allo sciacallaggio, viene sospeso. Il dibattito (e la decisione) non è solo italiano, ma si sta aprendo in tutto il mondo. Ieri, la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, ha lanciato un appello contro le leggi “adottate in alcuni Stati tra cui Ungheria e Russia, dove i giornalisti rischiano fino a 5 anni di prigione per la diffusione ‘di false informazioni’”. Ma ha anche sottolineato la necessità di “garantire che le misure per combattere la disinformazione siano necessarie, proporzionate e sottoposte a controlli regolari da parte dei parlamenti e degli organi nazionali per la difesa dei diritti umani”. La trasparenza, insomma, deve essere garantita, ora ancora di più.

Tutto mentre Facebook annuncia un progetto pilota insieme all’Agcom, contro la disinformazione sul Coronavirus che viaggia via Whatsapp: si chiamerà Facta e farà capo alla squadra di analisti di bufale con cui Facebook già lavora da due anni. Gli utenti potranno inviare a Facta, sempre tramite Whatsapp, i messaggi che gli arrivano “in modo che il fact-checker possa verificarne l’accuratezza” si legge in una nota. Poi Facta pubblicherà sul suo sito i risultati, creando così “un database di fatti e miti sul Covid-19”. Ma viene il dubbio: e se Facta non potesse accedere ad atti necessari e verificare le notizie che le arrivano? Sul Foia non potrà contare.

Ultima modifica alle ore 16 del 4 aprile 2020 con la specificazione delle diverse scadenze della sospensione.

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Il paradosso è gustoso: mentre l’Italia in emergenza si chiede se sia giusto o meno cedere parte della privacy in nome della tutela della salute, la Pubblica amministrazione chiude i cancelli alla trasparenza per i cittadini. Lo prevede un articolo del decreto Cura Italia: le risposte a richieste di accesso civico e civico generalizzato (il cosiddetto Foia, Freedom of infomation act, ndr) che non abbiano carattere di “indifferibilità e urgenza” sono sospese fino al 31 maggio per gli enti impositori e fino al 15 aprile per tutti gli altri. Se fino a qualche tempo fa ogni cittadino poteva quindi chiedere di consultare gli atti della pubblica amministrazione e aveva diritto a riceverli o a ricevere un rifiuto motivato (da poter impugnare) entro 30 giorni, a causa dell’emergenza questo diritto è stato sospeso. La spiegazione dalla Pa e dai suoi tecnici è che la scelta sia in linea con l’interruzione di tutte le pratiche della Pa perché la riduzione dei ranghi dei dipendenti e lo smart working rendono difficile fornire il servizio – soprattutto in assenza di un’adeguata digitalizzazione – o farlo nei tempi stabiliti dalla legge. Di fatto, però, la trasparenza nei confronti dei cittadini non viene considerata un servizio essenziale.

Per spiegare quali siano i diritti in gioco, si può fare l’esempio dei giornalisti. Per verificare una notizia, un giornalista può aver bisogno di confrontare e analizzare documenti della Pa che non vengono pubblicati autonomamente. Possono chiederne conto agli addetti stampa e ai portavoce, ma non sempre riescono ad ottenere quanto chiesto da chi ha il compito di gestire l’immagine dell’ente. In questo caso, resta l’opportunità di appellarsi a un diritto previsto per legge e dopo molte battaglie – il Foia – che, però, proprio quando in nome dell’emergenza saltano molte tutele normative e c’è una corsa allo sciacallaggio, viene sospeso. Il dibattito (e la decisione) non è solo italiano, ma si sta aprendo in tutto il mondo. Ieri, la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, ha lanciato un appello contro le leggi “adottate in alcuni Stati tra cui Ungheria e Russia, dove i giornalisti rischiano fino a 5 anni di prigione per la diffusione ‘di false informazioni’”. Ma ha anche sottolineato la necessità di “garantire che le misure per combattere la disinformazione siano necessarie, proporzionate e sottoposte a controlli regolari da parte dei parlamenti e degli organi nazionali per la difesa dei diritti umani”. La trasparenza, insomma, deve essere garantita, ora ancora di più.

Tutto mentre Facebook annuncia un progetto pilota insieme all’Agcom, contro la disinformazione sul Coronavirus che viaggia via Whatsapp: si chiamerà Facta e farà capo alla squadra di analisti di bufale con cui Facebook già lavora da due anni. Gli utenti potranno inviare a Facta, sempre tramite Whatsapp, i messaggi che gli arrivano “in modo che il fact-checker possa verificarne l’accuratezza” si legge in una nota. Poi Facta pubblicherà sul suo sito i risultati, creando così “un database di fatti e miti sul Covid-19”. Ma viene il dubbio: e se Facta non potesse accedere ad atti necessari e verificare le notizie che le arrivano? Sul Foia non potrà contare.

Ultima modifica alle ore 16 del 4 aprile 2020 con la specificazione delle diverse scadenze della sospensione.