La sua ultima battaglia è contro un costruttore che vuole “distruggere un’oasi e tagliare i miei alberi” nel suo rifugio di Hudson River Town, due ore a nord di New York. La più recente conquista è la cittadinanza italiana che aspettava da una vita. A 77 anni, l’uomo che ha cambiato la storia della polizia americana rivendica quelle origini che l’hanno reso chi è: “Da bambino le suore storpiavano il mio nome, mi chiamavano Francis e io l’odiavo. Ora non potrà farlo più nessuno. Io sono Francesco Serpico”. E quello sciovinismo che, assieme all’intransigenza, lo definisce, emerge di continuo: mentre ricorda la sua lotta contro la corruzione, la pallottola in faccia e il film in cui Al Pacino lo interpreta, Serpico vola con la memoria a Mirigliano, il suo paese natale in Campania, recita tratti interi della Divina Commedia e canta per una decina di minuti in napoletano stretto.

Vuol dire così tanto, per Francesco Serpico, stringere nelle mani il passaporto italiano?
Significa tutto: ora sono completo. Rivolevo indietro il mio nome, la mia cultura. Mio padre era un artigiano, cuciva scarpe. E mia madre era un’artista: l’hanno ereditato dalla madre terra. Anche io sono un prodotto del mio Paese. La mia anima è italiana, ed è lì che voglio tornare a vivere.

Sa già dove?
Mi piacciono le cose semplici. Cerco un posto tranquillo dove camminare, mangiare un’insalata e del pesce in una vecchia trattoria e scrivere le mie memorie. Anche se non riesco mai a cominciare: sono troppo impegnato a vivere la mia vita, non voglio perdere tempo.

Eppure è stata l’America a renderla un eroe celebrato in tutto il mondo.
Ah sì? Pensi che il museo della polizia di New York si è rifiutato di esporre il mio distintivo: mi disprezzano ancora per quello che ho fatto. Significa una cosa sola: che non è cambiato nulla. Mi dicono che in Italia i giovani agenti sanno chi sono e cos’ho fatto. Negli Usa non è così: la Nypd cerca di sradicare la mia figura dalla sua storia.

E perché?
Ho rotto una macchina da soldi perfettamente oliata. E non parliamo di qualche dollaro. Un capitano ha dichiarato: “Se non fosse per quel figlio di puttana di Serpico oggi sarei milionario”. Mi accusano di aver buttato un sasso negli ingranaggi, di aver rovinato l’immagine del mio Paese per aver esposto il giro di mazzette. Ma quelli che parlano così sono parte del problema. Sono gli stessi che mangiano grazie alla corruzione. Sa chi è Bob Leuci?

Il detective ritratto nel film “Il principe della città”, che fa arrestare i colleghi corrotti?
Ecco, l’hanno fatto passare per un eroe. Invece è uno schifoso. Era invischiato anche lui e poi si è pentito per salvarsi, raccogliendo prove contro gli altri poliziotti. È un voltagabbana che cerca sempre di associarsi a me, come se fossimo la stessa cosa. Invece io non ho mai accettato un dollaro sporco in vita mia. E il distretto, dopo che ha collaborato, l’ha tenuto lì per altri vent’anni. Oggi prende una pensione di Stato e insegna all’accademia. Un suo studente se n’è andato dicendo: “Non ho niente da imparare da uno come lei”. Questa è l’America. Se sei marcio, ti premiano. E’ il sistema che si autopreserva.

È proprio convinto che in Italia la situazione sia migliore?
È quello che mi chiedono tutti, e so benissimo che l’immoralità regna anche lì. Ma c’è una grande differenza: voi state cercando di mandare in galera l’ex premier. Non avete paura di investigare, non importa quanto in alto si arrivi.

Però le leggi ad personam di Silvio Berlusconi sarebbero improbabili in America.
I difetti sono diversi, ma se Berlusconi ha tutti questi scudi è anche perché è un miliardario che usa i suoi soldi per comprarsi l’immunità. Io dico: il potere corrompe, il potere totale corrompe totalmente. Sta alla gente riprendersi il comando.

Tolto il Cavaliere, rimangono condannati in Parlamento e regalini ai mafiosi negli ultimi decreti.
Gli italiani infatti hanno bisogno di una rivoluzione francese. Devono combattere questi criminali che si sentono intoccabili, che delinquono dai vertici riparandosi dietro i propri ruoli: che siano cardinali o capi di Stato e di governo. E chi si sente impotente sbaglia di grosso: togliere una goccia alla volta dal mare può sembrare inutile, ma se smetti, affoghi. Per cambiare il mondo basta una piccola cosa: fare il proprio lavoro, qualunque esso sia, onestamente. Come ho fatto io.

Lei per aver semplicemente fatto il suo lavoro vive da quarant’anni con frammenti di proiettile in testa.
E sa cosa dicono? “Serpico era mezzo pazzo anche prima che gli sparassero in faccia”. Intaccare la credibilità di chi non si fa comprare è una pratica diffusa per screditare i nemici. Un altro metodo che funziona sempre coinvolge le donne. Mi avevano avvertito: “Ti fregheranno con una lady”: io già m’immaginavo scene degne di James Bond, con la pistola nascosta nel reggicalze.

Invece?
Una signora con cui avevo da poco una relazione si è fatta mettere incinta, dicendomi che prendeva la pillola. Mi ha trascinato molto pubblicamente in tribunale, ha preteso soldi per vent’anni e soprattutto non mi ha lasciato crescere mio figlio, che è diventato come la madre. La gente non ha senso della morale. Eppure è con la moralità che viene il coraggio per le missioni impossibili.

Da dove si parte per cambiare?
Dalla scuola, fulcro di ogni problema, almeno in America. Qui ti insegnano a essere popolare e conformista, invece che ad apprezzare la propria diversità e a essere indipendente.

Lei che è sempre andato controcorrente da chi ha incassato solidarietà?
Non certo dai colleghi. Però ero molto rispettato dai mafiosi: “Non abbiamo niente contro di te, non sei una faccia di merda come gli altri”, mi dicevano. L’onore, in questo lavoro, contava e conta. E poi la mafia, senza l’aiuto dello Stato, non sopravviverebbe mai. Ma questo in Italia lo sapete benissimo. Io ricevo ancora centinaia di lettere da cops di tutto il mondo che mi chiedono consigli. Lo stesso succede tra i militari in Iraq e Afghanistan: alcuni stanno portando avanti un’ “operazione-Serpico” per fare emergere la verità. Si deve sapere perché li hanno mandati lì e quello che davvero succede in quei posti.

E che consigli dà, lei, all’onesto che si trova in una situazione simile alla sua?
Primo: devi essere certo di sapere come stanno davvero le cose, nel dettaglio. Secondo: non ti fidare di nessuno e non confidarti con la gente sbagliata. Terzo: registra tutto, raccogli prove. La ricerca della verità è dolorosa ma paga.

Cosa pensa di Snowden e Assange? Eroi anche loro o traditori?
Julian Assange, Edward Snowden e Bradley Manning, il soldato che per primo ha rivelato notizie a Wikileaks e che oggi è in prigione, sono i Serpico dell’era di Internet. Se vogliamo la democrazia bisogna che sia la gente a decidere, e per farlo deve essere informata. Cosa c’è di più fondamentale che la trasparenza? E perché l’osteggiano tutti? Se i cittadini del mondo mettessero insieme le forze potrebbero smettere di avere paura.

Paura di cosa?
Dei propri leader, per esempio. Quando i governi temono i popoli, si ha la libertà. Oggi, in America come in molti Paesi del mondo, è il contrario.

Eppure proprio gli Stati Uniti hanno fatto della libertà la loro bandiera.
Dicono che Lincoln si liberò della schiavitù, ma non è così. Sulla carta, certo, sì. Ma qui da noi continuano a schedare le persone per via della propria razza, a tracciarne i profili: ancora oggi ti arrestano solo perché sei nero. A NY, l’anno scorso, circa 70 mila persone sono state fermate e perquisite perché di colore. E l’agente di polizia non ha scelta: se si rifiuta lo accusano d’insubordinazione, se lo fa diventa parte del sistema.

Una nazione così razzista avrebbe eletto un presidente afroamericano?
Io non voto da vent’anni, perché non ho ancora trovato un solo politico pulito. Si comportano come se la gente fosse stupida, e a volte, purtroppo, l’ignoranza c’è. Mi viene in mente Joe Tramboli, un poliziotto che arrestò colleghi così marci da sniffare la cocaina appena sequestrata sul cofano dell’auto di pattuglia. E che ora è finito nel dimenticatoio. Nel 1994 scrissi a Bill Clinton chiedendogli tre cose: di conferire a Joe la medaglia del presidente, di formare una commissione permanente che vigilasse sulla polizia corrotta e di insegnare nelle accademie i risultati di questi studi.

Cosa le ha risposto?
“Caro Franco, che piacere. Condivido le sue preoccupazioni, apprezzo i consigli, ho comunicato ai miei collaboratori la candidatura di Joe, arrivederci e grazie”. Ma chi, se non il presidente, decide a chi assegnare la medaglia del presidente? Certi gesti simbolici darebbero a molte persone perbene la forza di fare la cosa giusta, invece Clinton ha sbolognato la faccenda fregandosene alla grande.

A lei, oltre a una medaglia, è stato dedicato il film di Sidney Lumet che porta il suo nome. Difficile che la gente la dimentichi.
Pensi che non sono riuscito a vedere il film per trent’anni. Un po’ perché non volevo rivivere quel periodo: l’ostracismo, la frustrazione, lo schifo. Avevo bisogno di una trasfusione di sangue e nessuno me l’ha donato. E poi perché c’erano cose inesatte: nel film, Al Pacino ha le mani incastrate nella porta e viene colpito in faccia. Io invece ho sparato allo spacciatore che ha sparato a me! E poi lo scassinatore che mi aggredisce era bianco: Hollywood l’ha reso nero, perché sono razzisti pure lì.

Cosa vuole che si sappia, in futuro, di Francesco Serpico?
Sono un essere umano. Che prende questa responsabilità molto seriamente.

Twitter: @BorromeoBea

Da Il Fatto Quotidiano del 14 luglio 2013

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