Esplosioni, proteste di piazza, scontri e una tensione che non accenna a diminuire. Questa è la situazione nel Kosovo settentrionale, abitato in larga maggioranza da serbi, dopo l’arresto di un poliziotto locale accusato di cospirazione e terrorismo dalle autorità di Pristina. La reazione della comunità serba, mai integratasi in Kosovo, ha ricevuto l’appoggio di Belgrado e del presidente nazionalista Aleksandar Vucic, che ha chiesto alla NATO il permesso di inviare truppe nella regione. La richiesta è stata respinta ma ha provocato un aumento della tensione tra Serbia e Kosovo. Il primo ministro kosovaro Albin Kurti, esponente del partito nazionalista di sinistra Vetvendosje (Autodeterminazione), ha accusato la Serbia di minacciare una nuova guerra con l’invio di proprie truppe e di appoggiare le attività di gruppi criminali illegali che destabilizzano la situazione del nord. Kurti ha ribadito, come riportato dal Sole24ore, che il suo governo vuole un futuro democratico e prospero per il Kosovo mentre la Serbia vuole tornare al passato. Il primo ministro ha chiarito come nel nord del Kosovo siano presenti strutture parallele legate a Belgrado, si commerci e si lavori con i dinari serbi mentre l’elettricità ed altri servizi non vengono pagati. Giorgio Fruscione, analista dell’Ispi ed esperto della regione balcanica, ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it che “gli eventi degli ultimi giorni possono avere conseguenze molto serie ma non tali da provocare una guerra convenzionale come quella vista, negli ultimi mesi in Ucraina”. Secondo Fruscione “ci saranno ancora tensioni perché non sono stati risolti molti dossier del processo di normalizzazione tra Belgrado e Pristina” e ciò “rende ancora più precaria la situazione del Kosovo dato che è bastato il semplice fermo di un agente di polizia per riaccenderle”. L’analista ha anche chiarito come la Russia, tradizionalmente vicina a Belgrado, “non sia responsabile di queste tensioni che sono il frutto della politica locale” mentre Mosca “intende sfruttarle per allontanare i Balcani da Nato ed UE” e “rafforzare il soft power con cui agisce nella regione da anni”.

L’Unione Europa ha mostrato preoccupazione negli ultimi mesi, come riportato da Europa Today, “per il rafforzamento dei legami tra Serbia e Russia” dopo la firma di un’intesa sulla politica estera firmata da Belgrado e Mosca che prevede la presenza di consultazioni in questo ambito. Il progetto di adesione all’Unione Europea, per lungo tempo al primo posto nell’agenda della Serbia, ha subito un ridimensionamento dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Belgrado ha ricevuto pressioni per aderire alle sanzioni occidentali contro Mosca ma ha sempre rifiutato questa eventualità nonostante abbia votato in favore delle risoluzioni dell’Onu che hanno denunciato l’aggressione russa. Il ministro degli Interni Aleksandar Vulin ha sottolineato, alcuni mesi fa, che “la Russia è nostra amica”. I rapporti tra Belgrado e Pristina risentono degli strascichi del violento conflitto del 1999, iniziato con la violenta repressione dei movimenti indipendentisti kosovari da parte delle forze di sicurezza serbe e conclusosi con il ritiro dell’esercito di Belgrado dopo l’intervento della NATO. Nel 2008 il Kosovo ha proclamato l’indipendenza ma l’autodeterminazione è stata riconosciuta solamente da 99 membri delle Nazioni Unite su 193 e tra queste non ci sono pesi massimi come Brasile, Cina, India, Russia ed ovviamente la Serbia. Il veto opposto da Mosca e Pechino ha impedito a Pristina di entrare nelle Nazioni Unite e Belgrado ha chiarito che non ne riconoscerà mai l’indipendenza. La sicurezza interna viene garantita dalle truppe NATO della missione Kfor e dalle forze di polizia locali mentre non esiste un esercito.

Nel corso degli anni sono state raggiunti alcuni accordi tra Serbia e Kosovo per dirimere controversie complesse. Nel 2013, ad esempio, è stata firmata un’intesa per regolare l’autonomia dei serbi all’interno del Kosovo, un’intesa storica che ha aperto le porte del percorso europeo a Belgrado e Pristina e rilanciato il ruolo giocato da Bruxelles. Ai 500mila serbi che vivevano nel Kosovo era stata garantita la creazione di un’Associazione delle Municipalità con poteri in materia di sviluppo economico, istruzione, sanità e pianificazione urbana che li avrebbe dovuti rappresentare di fronte al governo centrale. Nel 2020 Kosovo e Serbia avevano firmato un accordo di cooperazione mentre nel’agosto 2022, grazie all’intervento dell’altro rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, c’è stato un primo via libero reciproco ai documenti d’identità nazionali alla frontiera tra le due nazioni. L’intesa, definita storica perché ha comportato un primo riconoscimento de facto della sovranità del Kosovo da parte della Serbia nonostante il diniego espresso da Belgrado, è stata un risultato importante. Nel novembre 2022 è stato raggiunto, sempre con la mediazione di Bruxelles, un accordo di normalizzazione delle relazioni.

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