Oltre 270 milioni di tonnellate tra cereali, pesce, frutta, carne, verdura, uova, patate, barbabietole da zucchero, prodotti lattiero-caseari, colture oleaginose. Tutti prodotti mandati al macero tra il 2000 e il 2017: l’Italia si scopre il Paese più sprecone d’Europa in termini quantitativi di cibo buttato via. Seguono Spagna e Germania (quasi a pari merito), che si attestano su un complessivo spreco a livello nazionale di circa 230 milioni di tonnellate di derrate alimentari. Tra le 27 nazioni dell’Unione europea, non esiste nessun Paese che abbia fatto peggio dell’Italia. Questi nuovi dati pubblicati dal Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione europea ed elaborati da ilfattoquotidiano.it smentiscono l’idea diffusa da diverse indagini secondo cui l’Italia sia addirittura tra i Paesi più virtuosi in Occidente in termini di spreco alimentare.

I nuovi numeri sullo spreco – “Secondo le stime fornite, la maggiore quantità di rifiuti alimentari negli anni considerati è stata generata in Italia”. Ad affermarlo sono gli scienziati della Commissione europea (il JRC, appunto) cui ilfattoquotidiano.it ha chiesto di approfondire i numeri pubblicati a ottobre nel nuovo EU Bioeconomy Monitoring System dashboards. Perché queste comparazioni sono divergenti da quanto riportato in passato da altre rilevazioni sullo spreco alimentare? La spiegazione è semplice: si tratta di numeri inediti, per certi aspetti sorprendenti, che riguardano i 18 anni compresi tra il 2000 e il 2017. Non solo. Le stime diverse rispetto a quanto conosciuto fino ad oggi nascono dall’esigenza di fare un confronto sugli sprechi in vista dell’attuazione della strategia Farm to Fork prevista dallo European Green Deal. Circa la dissonanza dei numeri italiani su quanto stimato fino ad oggi, fonti della Commissione spiegano che “a nostra conoscenza, questo è il primo studio che permette di confrontare le stime delle quantità di rifiuti alimentari tra gli Stati membri, derivate utilizzando una metodologia coerente. Secondo il report FUSIONS, gli studi precedenti per l’Italia non hanno fornito dati di qualità sufficiente alla trasformazione, alle famiglie e ai servizi alimentari, compromettendo il confronto con altri Paesi. La novità di questo modello è che fornisce una stima dello spreco alimentare generato lungo tutta la filiera e per diversi gruppi di alimenti, costruendo una valutazione del flusso di materiale dell’intera filiera alimentare di un Paese, combinando diverse fonti di dati statistici (sulla produzione e sul commercio di prodotti alimentari freschi e trasformati) con coefficienti di spreco presi dalla letteratura scientifica”.

Lo spreco di cibo in Italia – Nel dettaglio dei singoli alimenti, il nostro Paese ha il triste primato assoluto di spreco di frutta e verdura, sia complessivamente che a livello medio annuale. Sui cereali (oltre 1 milione di tonnellate mediamente all’anno) l’Italia è complessivamente seconda in Europa (dopo la Germania, che ne butta quasi il doppio) sempre considerando il periodo 2000-2017, anche se dal 2016 l’Italia è stata sorpassata dalla Spagna. L’Italia inoltre è ancora seconda (dopo la Spagna) tra i 27 per spreco di colture oleaginose. Il nostro Paese è invece terzo (dopo Germania e Francia) per sprechi di prodotti caseari e uova, con rispettivamente 800mila e 188mila tonnellate che finiscono mediamente ogni anno nella spazzatura. Terza posizione, questa volta dopo Spagna e Francia, poi, per spreco annuale di pesce (400mila tonnellate) e di barbabietola da zucchero (280mila tonnellate), mentre solo nel 2016 è passata dalla terza alla quarta posizione per spreco di carne (dopo Germania, Francia e Spagna). Molto meglio sullo spreco di patate, dove l’Italia è sesta (leader di settore è la Polonia).

Dove avviene lo spreco – Se si pensa a quanto si perde lungo la filiera produttiva del nostro cibo, circa il 68% dei rifiuti alimentari sono generati dai consumatori finali. È una stima in linea con quanto avviene anche negli altri 27 Paesi europei. E c’è di molto peggio perfino tra i Paesi più benestanti: basti pensare che nel Lussemburgo l’83% dello spreco alimentare è imputabile ai consumatori. Tornando all’Italia, ben poco viene perso in fase di vendita e distribuzione finale (circa il 7%), mentre il restante 25% dello spreco si divide equamente tra la fase di produzione primaria del cibo e i successivi processi di lavorazione.

(video di Angela Nittoli)

Un modello nuovo per la lotta allo spreco – Questo nuovo modello di misurazione serve a centrare gli obiettivi di sostenibilità in ambito alimentare messi in campo dallo European Green Deal. Il Green Deal contiene infatti la strategia Farm to Fork, un piano decennale per trasformare il sistema alimentare europeo, rendendolo più sostenibile sotto diversi aspetti e riducendo il suo impatto sui Paesi terzi. La Farm to fork è il primo tentativo dell’UE di progettare una politica alimentare che proponga misure e obiettivi che coinvolgono l’intera filiera alimentare, dalla produzione al consumo, passando per la distribuzione. Non è solo una questione etica, ma una strategia concreta di lotta al riscaldamento globale dato che, come afferma il direttore esecutivo dell’UNEP Inger Andersen, “se lo spreco alimentare fosse un Paese, sarebbe il terzo più grande emettitore di gas serra”. Anche l’UNEP recentemente ha aggiornato i propri numeri sullo spreco alimentare. A marzo scorso ha pubblicato il suo annuale Food Waste Index che ha quantificato in circa 1 miliardo di tonnellate il cibo che ogni anno è sprecato nel mondo. Numeri anche in questo caso sorprendenti dato che le analisi precedenti stimavano la quantità di risorse alimentari buttate in appena la metà di quelle indicate nell’ultimo report di UNEP.

A cosa serve questo nuovo modello di misurazione – La Commissione ha precisato a ilfattoquotidiano.it che “lo scopo di questo modello sviluppato dal JRC è fornire una stima su base statistica della produzione di rifiuti alimentari che può essere utilizzata per eseguire un controllo di plausibilità delle quantità di rifiuti alimentari misurate e riportate dagli Stati membri, ma non è destinato a sostituire tali misurazioni. Tracciando la produzione di rifiuti alimentari attraverso la catena di approvvigionamento è possibile aumentare la nostra comprensione di questo problema, il che aiuterà a dare priorità agli sforzi nella lotta contro lo spreco alimentare”. In base alla direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), gli Stati membri dell’Ue sono obbligati a riferire i dati sulla quantificazione dei rifiuti alimentari. Tuttavia, i Paesi dell’Unione sono a diversi livelli di sviluppo e attuazione delle strategie nazionali circa queste stime: era quindi necessario sviluppare prima un sistema di modellazione armonizzato che consentisse la stima dei rifiuti alimentari generati dagli Stati membri anche per fare un confronto. Così gli scienziati del JRC della Commissione europea hanno sviluppato una metodologia armonizzata per stimare i rifiuti alimentari generati dai paesi dell’Ue. Questo sistema quantifica i rifiuti alimentari a livello di Paese permettendo il confronto della produzione di rifiuti alimentari tra i Paesi. Una nuova modalità di misurazione che sarà utile anche all’Italia per comprendere meglio dove il cibo viene buttato inutilmente.

“Uno strumento a disposizione dei Paesi Ue” – Come spiega infine la Commissione, non si tratta solo di finalità puramente conoscitive, ma di presupposti per decisioni istituzionali finalizzate a ridurre lo spreco di cibo nell’Unione: “Questo modello è stato creato al fine di sostenere e aiutare a convalidare il sistema di segnalazione delle quantità di rifiuti alimentari all’Ue. I dati effettivi sulla produzione di rifiuti alimentari in ogni fase della catena di approvvigionamento alimentare, riportati secondo la metodologia comune, dovranno essere forniti dagli Stati membri a Eurostat entro il 30 giugno 2022 e saranno pubblicati subito dopo la loro convalida da parte di Eurostat. Questi dati saranno la base per l’ulteriore lavoro della Commissione europea per stabilire una linea di base e proporre nel 2023 obiettivi legalmente vincolanti per ridurre gli sprechi alimentari in tutta l’UE (come previsto dalla strategia Farm to Fork)”.

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