Cultura

Papa Francesco e la riforma della Curia romana: in ‘Predicate il Vangelo’ il bilancio dei primi 6 anni ‘rivoluzionari’ di Bergoglio

Nel libro di Francesco Antonio Grana, vaticanista de ilfattoquotidiano.it, l’opera di cambiamento messa in atto dal pontefice latinoamericano dal 2013 a oggi. Un lavoro che si concretizzerà con la costituzione apostolica sulla Curia romana Praedicate Evangelium che il Santo Padre dovrebbe promulgare nel 2019

di F. Q.

Papa Francesco sta davvero riformando la Curia romana? E se sì, in che modo sta lottando contro corruzione, carrierismo, soldi e sesso? A rispondere a queste domande è il libro Predicate il Vangelo. La riforma della Curia romana di Papa Francesco, edito da Elledici, scritto dal vaticanista de ilfattoquotidiano.it Francesco Antonio Grana. Il volume ripercorre l’opera di riforma messa in atto dal Papa latinoamericano nei primi sei anni del suo pontificato e che, un mese dopo l’elezione, ha costituito un Consiglio di cardinali provenienti dai cinque continenti proprio per essere aiutato in questo lavoro. Un’opera che si concretizzerà con la costituzione apostolica sulla Curia romana Praedicate Evangelium che Bergoglio dovrebbe promulgare nel 2019.

“Se Paolo VI fu eletto per proseguire il Concilio Ecumenico Vaticano II – scrive l’autore – Francesco è stato chiamato dai porporati elettori a riformare radicalmente la Chiesa, a iniziare dalla Curia romana. Da un lato è evidente che Bergoglio ha attuato la sua riforma giorno per giorno fin dalla sua elezione al pontificato. Dall’altro la riforma di Francesco non si conclude con la pubblicazione della costituzione apostolica Predicate Evangelium, ma prosegue perché essa non è un semplice cambiamento di strutture, o peggio ancora un maquillage che si limita a camuffare il vecchio sotto sembianze nuove senza andare alla radice. Essa, infatti, esige un’autentica conversione interiore, un cambiamento di vita, di atteggiamento, di modo di relazionarsi che il Papa chiede con insistenza a coloro che nella Curia romana sono i primi e i più diretti collaboratori del vescovo di Roma. Bergoglio sa bene che questo processo non è immediato, ma richiede un cammino lungo e certamente non privo di cadute. Ma è solo iniziando a percorrere questa strada con determinazione che si potrà avere una riforma radicale, credibile e duratura”.

Nel volume vengono passati in rassegna da un lato tutti i provvedimenti di governo attuati in questi sei anni di pontificato da Francesco, e dall’altro tutti i suoi ripetuti e durissimi moniti contro la Curia romana rinnovati di anno in anno nel tradizionale discorso per gli auguri di Natale. Tra essi quello sicuramente tuttora più indigesto è stato pronunciato nel 2014 quando Bergoglio fece un impietoso elenco di ben 15 malattie curiali: “Sentirsi immortali; l’eccessiva operosità; il cuore di pietra; l’eccessiva pianificazione e il funzionalismo; il cattivo coordinamento; l’alzheimer spirituale; la rivalità e la vanagloria; la schizofrenia esistenziale; le chiacchiere, le mormorazioni e i pettegolezzi; il divinizzare i capi; l’indifferenza; la faccia funerea; l’accumulare beni materiali; il vivere in circoli chiusi; il profitto mondano”.

Per spiegare la diffidenza tuttora esistente tra Francesco e la Curia romana Grana parte da un aneddoto molto significativo: l’assenza dell’allora cardinale Bergoglio all’ultimo concistoro nel quale Benedetto XVI nominò sei nuovi cardinali. “Quel 24 novembre 2012 – scrive il vaticanista – il cardinale arcivescovo di Buenos Aires aveva preferito restare nella sua Argentina e non prendere l’aereo per Roma per partecipare a quel secondo concistoro per la nomina dei nuovi porporati. Bergoglio aveva preso parte già a quello del febbraio dello stesso anno e preferì rimanere a casa. Era sulla soglia dei 76 anni, ovvero ben al di là dell’età canonica delle dimissioni, e già pensava alla sua imminente vita da pensionato avendo da quasi 12 mesi presentato le sue dimissioni a Benedetto XVI. Ma Ratzinger tardava ad accettarle mantenendolo a pieno titolo nell’incarico di arcivescovo metropolita di Buenos Aires, diocesi nella quale non solo era nato, ma aveva maturato tutto il suo cammino ecclesiale: dalla vocazione sacerdotale nel 1954 all’ordinazione presbiterale nella Compagnia di Gesù nel 1969, fino alla nomina episcopale, prima come vescovo ausiliare nel 1992, poi come coadiutore, ovvero con diritto di successione alla guida dell’arcidiocesi nel 1997, e poi come arcivescovo nel 1998”.

Per Grana “l’assenza del cardinale Bergoglio a quel secondo concistoro di Benedetto XVI era anche rivelatrice della distanza tra il pastore delle sue amatissime villas miserias, le periferie geografiche ed esistenziali di Buenos Aires, e il centro del potere della Curia romana. Quella distanza rimarcata con forza nell’intervento che Bergoglio tenne, il 9 marzo 2013, nella penultima delle 10 congregazioni generali dei cardinali che precedettero il conclave nella Cappella Sistina”. Un discorso di appena tre minuti che Grana riporta integralmente nel suo libro e che spianò la strada all’elezione di Bergoglio. L’autore non nasconde che il cammino della riforma della Curia romana è ancora molto lungo e che gli scandali nonostante tutto il lavoro fatto finora continuano.

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