La ex Iena Dino Giarrusso dirigerà l’Osservatorio sui concorsi nell’Università. Lo annuncia il sottosegretario all’Istruzione Fioramonti sul suo profilo Facebook. La notizia è talmente interessante che vogliamo commentarla facendo l’analisi del periodo, quella che ci facevano fare le maestre alle elementari.

Ex Iena. Già qui potremmo fermarci. Le Iene hanno contribuito alla diffusione di alcune delle peggiori bufale antiscientifiche: vedi Stamina, vedi vaccini, vedi il veleno di scorpione cubano dalle proprietà antitumorali. Alto giornalismo d’inchiesta, insomma. E invece Fioramonti conclude il suo post su Facebook affermando entusiasticamente: “Chi meglio di una ex-Iena per farlo!” (col punto esclamativo, anziché con l’interrogativo). Beh, quasi chiunque. Vediamo perché.

Dino Giarrusso. Militante 5 stelle, candidato alla Camera nel collegio uninominale Gianicolense a Roma durante le ultime elezioni, laureato in Scienze della Comunicazione, ha insegnato per vari anni all’Università di Catania. Beh, si potrebbe dire, che c’è da lamentarsi? Il problema è che Giarrusso ha ricoperto solo il ruolo di docente a contratto in “Tecniche della produzione cinematografica e televisiva”, non ha un dottorato di ricerca ma soprattutto ha zero (zero, avete capito bene) pubblicazioni su riviste scientifiche di qualunque genere. Giarrusso, però (si legge dal suo cv) ha conseguito “ottimo” in canto e chitarra. Siamo in una botte di ferro. A proposito di merito, poi, non dimentichiamoci che – sconfitto alle elezioni del 4 marzo – Giarrusso è stato ripescato e messo nello staff della capogruppo M5s in Regione Lazio Roberta Lombardi (quella volta come responsabile della comunicazione). Lui che si presentò dichiarando: “Mi candido senza paracadute”. Non male, per essere stato nominato da un sottosegretario che nel suo post afferma di voler “diffondere una cultura di trasparenza e meritocrazia nel mondo accademico italiano”.

Osservatorio sui concorsi nell’Università. Ma di cosa si occuperà questo osservatorio? Forse di sotto-finanziamento delle università, Fondo di finanziamento ordinario, punti organico, dipartimenti eccellenti, corsi di laurea che chiudono per sempre e altri che rischiano di saltare un anno (come il Cdl triennale in “Scienze e Tecniche Psicologiche” dell’Università di Torino) perché non ci sono abbastanza docenti per gestire il numero di iscritti, uso distorto (e antiscientifico) di pseudo indicatori “oggettivi”, diritto allo studio negato perché non ci sono le coperture finanziarie per le borse di studio degli aventi diritto, affossamento degli atenei del Mezzogiorno, edilizia universitaria fatiscente, attrezzature e servizi agli studenti inesistenti, precariato di ricercatori, assegnisti, borsisti, dottorandi così come di tutte le persone che a vario titolo lavorano in università (bibliotecari, personale della sicurezza e delle pulizie esternalizzati a cooperative che pagano stipendi da fame), numeri chiusi (sempre perché non ci sono abbastanza docenti e servizi), lauree abilitanti, scuole mediche di specializzazione? No! Il sottosegretario Fioramonti ovviamente pensa a un osservatorio con a capo un bel consulente della comunicazione, dipendente ministeriale assunto direttamente senza concorso per vigilare che i concorsi universitari non mascherino delle assunzioni dirette.

La questione dei concorsi “truccati” è ovviamente un problema dell’università italiana, ma quello che il sottosegretario Fioramonti non coglie è che questo malcostume è acuito dall’unico vero dramma: il sottofinanziamento sistematico a cui l’Università pubblica italiana è sottoposta ormai da anni. La mancanza di fondi, infatti, ha prodotto e produce precarietà, giochi di potere sulla pelle dei ricercatori non strutturati e una guerra senza quartiere per spartirsi le briciole. Inoltre, che sia una ex Iena a ricoprire quest’incarico non fa altro che mettere l’accento sull’aspetto sensazionalistico da programma di informazione-spettacolo secondo cui in Italia “ce la fanno” solo quelli sostenuti dai baroni, lasciando sullo sfondo i problemi strutturali dell’Università e negando l’esperienza di lotta per il cambiamento che tantissimi/e precari/e portano quotidianamente avanti nel mondo della ricerca.

Quello che serve, allora, non è l’ennesimo strumento di controllo, che rende ancora più farraginosa la gestione della già complicata macchina universitaria, ma finanziamenti pubblici, condizioni di lavoro dignitose e posti di lavoro in cui i diritti non vengano sistematicamente calpestati quando non esplicitamente negati. L’università è una cosa seria. Come i problemi che la affliggono. Sarebbe il caso di trattarli come tali.

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