* di Mariaclaudia De Gregorio

La falsa attestazione della presenza in servizio, anche per pochi minuti, costituisce giusta causa di licenziamento se risulta compiuta con modalità fraudolenta.

Lo afferma una recente ordinanza del 30 agosto 2017 del Tribunale di Milano con la quale il giudice ha confermato la legittimità del licenziamento irrogato nei confronti di un dipendente comunale che aveva abbandonato il posto di lavoro 42 minuti prima del termine dell’orario di servizio per accompagnare il figlio disabile ad un centro sportivo.

Secondo il Tribunale, ad essere inescusabile non è l’allontanamento, peraltro di durata non significativa, dal posto di lavoro bensì il fatto che il dipendente si fosse accordato con un collega affinché quest’ultimo, a cui lasciava il proprio badge, giunto il termine dell’orario di servizio, timbrasse anche per lui. Ne consegue che il licenziamento è legittimo in quanto risulta provato il grave intento doloso del lavoratore la cui intenzione era quella di indurre in errore il datore di lavoro circa la propria presenza in servizio, per il tramite dell’artificio della timbratura da parte di terzi.

La condotta del dipendente integra gli estremi della falsa e fraudolenta attestazione della presenza in servizio, di cui risponde anche chi con la propria condotta l’abbia agevolata.

Tale condotta è sanzionata con il licenziamento senza preavviso ex art. 55-quater co. 1 lett. a) e co.1 bis del T.U.P.I. ed espone il dipendente anche all’azione di risarcimento del danno all’immagine della Pubblica amministrazione, oltre che a responsabilità penale. Introdotto nel 2009 e più volte rielaborato – da ultimo con il d.lgs n. 75 del 2017– l’articolo 55-quater è noto come il manifesto della lotta al fenomeno della scarsa produttività ed assenteismo nella Pubblica Amministrazione.

La norma elenca in modo tassativo ed inderogabile i casi più gravi di inadempimento che comportano il licenziamento del lavoratore. La falsa attestazione della presenza in servizio rientra tra le ipotesi più gravi di lesione del rapporto di fiducia con il datore: se scoperta in flagranza o tramite strumenti di sorveglianza/registrazione degli accessi, determina l’apertura di un procedimento disciplinare accelerato e l’immediata sospensione cautelare (senza stipendio) del dipendente, senza nemmeno l’obbligo di preventiva audizione.

E’ bene rilevare che la severità della normativa non priva il lavoratore delle garanzie costituzionalmente previste, non introducendo alcun automatismo espulsivo.

In primo luogo, anche nel caso di sospensione cautelare immediata è sempre necessario procedere contemporaneamente alla contestazione per iscritto dell’addebito al lavoratore, ed alla sua convocazione, con relativo preavviso, per il contraddittorio a sua difesa.

Inoltre, al procedimento disciplinare si applica l’art. 2106 del codice civile che impone la valutazione della proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato le cui specificità potrebbero rivelare l’esistenza di elementi utili a ridimensionarne la gravità o, addirittura, a legittimare la condotta.

E’ proprio sulla base di tale valutazione in concreto che il Tribunale di Milano ha ritenuto corretta e proporzionata la decisione dell’Amministrazione comunale a dispetto della apparente tenuità del fatto. E’ stato osservato che il dipendente, per accompagnare il figlio disabile, avrebbe potuto chiedere di usufruire di un permesso ai sensi della L. 104/92, oppure registrare la propria uscita anticipata, o allertare quantomeno un proprio superiore dell’esigenza di uscire immediatamente dal luogo di lavoro. A tutte queste alternative legittime il dipendente preferiva quella giammai consentita dalla legge: simulare la propria presenza in servizio per lucrare sulla retribuzione dovutagli.

Non da ultimo, perché il licenziamento sia legittimo è anche necessario che il procedimento disciplinare si svolga nei termini previsti dalla legge. Il nuovo art. 55-bis del T.U.P.I. prevede che, per i procedimenti disciplinari ordinari, gli unici termini che la Pubblica Amministrazione è tenuta ad osservare, a pena di invalidità della sanzione disciplinare irrogata, sono quelli di avvio e conclusione del procedimento, rispettivamente pari a 30 giorni dalla scoperta/segnalazione dell’illecito e 120 giorni dalla sua contestazione; il rispetto dei termini è verificabile dal lavoratore mediante il diritto di accesso agli atti del procedimento.

Il mancato rispetto degli ulteriori termini del procedimento, invece, non incide più, almeno non in automatico, sulla validità della sanzione irrogata salvo che il giudice rilevi, nel caso concreto, il difetto di tempestività della contestazione e la compromissione del diritto di difesa del lavoratore.

In conclusione, le ultime modifiche alla normativa sul licenziamento disciplinare esprimono l’urgente necessità di responsabilizzare i dipendenti pubblici tramite un’azione disciplinare non soltanto più severa ma soprattutto più certa nell’avvio e nella conclusione. Tale rigore, tuttavia, rimane pur sempre mitigato, se non addirittura svilito, dall’energico diritto del dipendente pubblico alla reintegrazione nel posto di lavoro ogni volta che il licenziamento risulti illegittimo, ancorché per vizio procedurale.

* Giuslavorista. Sono una giovane professionista abilitata all’esercizio della professione forense. La mia passione per il diritto del lavoro risale all’Università. Ciò che amo di questa branca del diritto è l’umanesimo che la caratterizza, il suo profilo assistenziale e la sua grande attualità.

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