“Roma ‘Camorriste’ alla Festa del cinema diventa scontro. Giornaliste lasciano la sala”.

È questo il titolo di alcuni articoli pubblicati ieri sui maggiori quotidiani italiani, in merito a quanto accaduto in occasione della presentazione in anteprima di “Camorriste”, al via su Crime+Investigation, la docuserie di donne che sono state figure di spicco della camorra. Una di queste era presente in sala. Si tratta di Cristina Pinto, detta Nikita, che ora si definisce “dissociata” dalla camorra dopo aver scontato 20 anni di carcere per i crimini commessi, oggi vive facendo la “pescatora”. Dopo la proiezione del film era prevista una discussione proprio con Nikita e cinque giornaliste minacciate dalle mafie, due di queste sotto scorta. Insieme a me c’erano infatti Federica Angeli, Marilena Natale, Ester Castano e Marilù Mastrogiovanni. Ma qualcosa è andato storto.

La “dissociata” Nikita, infatti, ha detto di non essersi mai pentita per quello che ha fatto, tanto da non aver mai collaborato con la giustizia. Ma, in realtà, gli animi si erano scaldati già prima che lei parlasse. Lo sapevamo da tempo che fra gli ospiti c’era una ex camorrista, era scritto nel programma. Eppure abbiamo deciso, almeno per quanto mi riguarda, di esserci. Per capire, per conoscere, per guardare negli occhi chi non si pente del male, del sangue, del dolore e finanche della morte. Nikita è rimasta impassibile al suo posto, poche parole ma decise. Una evidente difficoltà di linguaggio, ma solo per quanto riguarda la lingua italiana, e poi ferma sulle sue posizioni. Non ha fatto alcun passo indietro.

Non mi sono mai allontanata dalla sala e ho avuto difficoltà ad alzarmi dalla sedia. Perché ero un ospite preparata, nel programma erano chiari gli interventi; ho profondo rispetto per chiunque lavori, compresi i produttori e i registi e tutto lo staff di Crime+Investigation che ha lavorato sodo per realizzare la serie documentaristica. La prima puntata di “Camorriste” che ho potuto vedere, peraltro, non lasciava spazio a enfasi o spettacolarizzazione del fenomeno. Tutt’altro. Si capiva chiaramente che la prima protagonista del film, la Franzese, ha deciso di collaborare con la giustizia solo per opportunità o, almeno, io questo ho visto. Un racconto senza filtri dei fatti per come li hanno vissuto nella vita vera i protagonisti. Avrei voluto avere il tempo di chiedere a Nikita come fa a guardarsi allo specchio la mattina, come fa a dire di aver pagato un debito con la giustizia? E quello morale? Cosa pensa della camorra e come è diventata secondo lei, se è cambiata in questi anni? Cosa pensa dei pentiti? Ma, soprattutto, cosa pensa delle donne dentro e fuori le organizzazioni criminali: madri, mogli, figlie, amanti spesso vittima di quella mentalità mafiosa che ancora oggi, nel 2017, punisce il delitto d’onore, come è accaduto in queste ore in Sicilia (con il padre che aveva ordinato al figlio di uccidere la sua stessa figlia perché aveva una relazione con un boss); come è accaduto a Maria Concetta Cacciola, che l’amore l’aveva conosciuto su internet; come è accaduto a Francesca Bellocco, uccisa da suo figlio per aver osato provato ad amare un altro uomo; come è accaduto all’imprenditrice di Laureana di Borrello, Maria Chindamo, scomparsa a un anno esatto dalla morte del marito, il quale si era suicidato per non aver accettato la fine della loro relazione. Qualcuno, pensano gli inquirenti, ha voluto vendicare quella morte.

Di donne “d’onore” come Nikita non ne abbiamo certo bisogno. Ma, mi chiedo, per contrastare il fenomeno mafioso non bisogna conoscerlo?

Siamo due mondi diversi. Due mondi differenti che pure esistono e convivono nello stesso territorio. Ma oltre a essere donna sono anche giornalista e non sono uscita dalla sala, come erroneamente scritto da qualche parte. Quando Nikita ha parlato sono rimasta seduta in platea, in prima fila, di fronte a lei, ho sentito le sue parole e non ho mai perso di vista i suoi occhi. Mi sono alzata, condividendo il disagio delle colleghe, solo perché la parola “non mi sono mai pentita” mi ha gelato il sangue. Ma non sono uscita dalla sala. Sono solo una cronista che vive raccontando ciò che vede e ciò che sente. Nikita è stata condannata dalla giustizia terrena e, forse, se esiste una Divina, sarà condannata anche da quella. Io posso fare poco ma ricordo bene altri esempi.

Quando Giovanni Falcone convinse Tommaso Buscetta a parlare, facendo di lui uno dei più grandi pentiti della mafia siciliana – anche se pure Buscetta ha agito per questioni di opportunità e vendetta – il magistrato antimafia disse: “Conoscere i mafiosi ha influito profondamente sul mio modo di rapportarmi con gli altri e anche sulle mie convinzioni. Ho imparato a riconoscere l’umanità anche nell’essere apparentemente peggiore; ad avere un rispetto reale, e non solo formale, per le altrui opinioni. Ho imparato che ogni atteggiamento di compromesso – il tradimento, o la semplice fuga in avanti – provoca un sentimento di colpa, un turbamento dell’anima, una sgradevole sensazione di smarrimento e di disagio con se stessi. L’imperativo categorico dei mafiosi, di “dire la verità”, è diventato un principio cardine della mia etica personale, almeno riguardo ai rapporti veramente importanti della vita. Per quanto possa sembrare strano, la mafia mi ha impartito una lezione di moralità. Questa avventura – concluse Falcone – ha anche reso più autentico il mio senso dello Stato. Confrontandomi con lo “Stato-mafia” mi sono reso conto di quanto esso sia più funzionale ed efficiente del nostro Stato e quanto, proprio per questa ragione, sia indispensabile impegnarsi al massimo per conoscerlo a fondo allo scopo di combatterlo”.

Mi sono alzata dalla sedia come segno di protesta verso la frase “non sono pentita” ma non sono uscita dalla sala perché non si può mai criticare ciò che non si conosce.

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