“In un momento difficile della storia del paese e del pianeta intero, dobbiamo decidere fra due modelli di società. Quello includente, con le sue contraddizioni, e quello che si chiude dentro ai privilegi di pochi”. Si apre così l’appello lanciato da un cartello di associazioni per una grande manifestazione antirazzista il prossimo sabato 21 ottobre a Roma (appuntamento alle ore 14.30 a piazza della Repubblica). Una società includente ha le sue contraddizioni. Nessuno sta dicendo che l’inclusione sia una cosa facile. Bisogna metterci fatica e impegno. Ma vale enormemente la pena di usare fatica e impegno per un modello di società che scelga di non chiudersi dentro i privilegi di pochi.

All’appello hanno aderito a oggi 160 organizzazioni e le adesioni sono in continuo aggiornamento. Soggetti diversi tra loro – dalla Libera di Don Ciotti a settori della Cgil, dall’Arci ad Amnesty International, da Cild a Medici Senza Frontiere  – che si uniscono sotto l’hashtag #nonèreato. Non lo è migrare, non lo è accogliere, non lo sono la povertà, la solidarietà, il dissenso. Purtroppo nell’Europa di oggi queste cose continuano a essere troppe volte criminalizzate. Bisognerebbe recuperare l’immediatezza e la spontaneità dei valori dell’eguaglianza e dell’antirazzismo. Considerazioni geopolitiche troppo sofisticate rischiano di coprire l’ovvietà del fatto che abbiamo tutti gli stessi diritti e che se qualcuno è in difficoltà dobbiamo tendergli una mano.

Un grandissimo avvocato, nonché grandissimo mio amico, mi raccontava del suo senso di spaesamento davanti alla burocraticità con la quale in alcune aule di tribunale si parla delle tragedie che hanno circondato molti dei suoi assistiti. Di fronte a storie di famiglie sterminate dal mare, si valutano con linguaggi forbiti piccoli dettagli assai poco significanti che sono scivolati tra le mani delle persone coinvolte. La scena ricorda l’interesse dell’ufficiale nazista per il cruciverba che Roberto Benigni ne “La vita è bella” viene chiamato a risolvere dentro il campo di concentramento.

Poche domande ci sarebbero invece da porre, dentro e fuori le Corti, nella drammatica situazione che stiamo vivendo. Una di queste è quella di Mazen Dahhan, medico di Aleppo, che ha perso la moglie e tre bambini nel naufragio di Lampedusa dell’11 ottobre 2013, quando sono affogate 268 persone, tra cui 60 bambini. Fabrizio Gatti in “Un unico destino” ha ricostruito quanto accaduto in quelle ore. La Marina militare italiana avrebbe potuto salvare quelle vite, che telefonavano con le poche batterie che restavano nei cellulari. La nave Libra era a poche miglia di navigazione da lì. Il peschereccio continuava a imbarcare acqua. Ci metterà oltre quattro ore ad affondare. Ma la Libra non fu fatta intervenire. È semplice, la domanda Mazen Dahhan, un cazzotto che buca lo schermo in “Un unico destino”: ho saputo dopo che potevate raggiungerci in 45 minuti, perché non lo avete fatto? Una moglie e tre figli sepolti dal mare. Il prossimo 27 ottobre sapremo se l’indagine su questi morti verrà sepolta insieme a loro con l’archiviazione.

La manifestazione di sabato prossimo deve recuperare la semplicità della domanda di Dahhan. Che è la stessa semplicità dell’accoglienza e della lotta alle discriminazioni. Le adesioni sono tante. Ci auguriamo che una folla scenda in piazza a ricordare che l’Italia è antifascista e antirazzista.

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