Niente più velo integrale sui mezzi di trasporto e negli uffici pubblici. L’ha deciso la provincia canadese del Quebec, che ha approvato una legge per limitare l’uso da parte delle donne musulmane del niqab, che copre tutto il corpo tranne gli occhi, e del burqa, che prevede anche una retina a velare lo sguardo di chi lo indossa. Saranno vietati su autobus e treni e per tutti i lavoratori delle strutture pubbliche, compresi dottori, insegnanti e maestre d’asilo.

Il ministro della Giustizia del Quebec, Stéphanie Vallée, l’ha definita “una legge per la convivenza”, spiegando che il provvedimento è necessario “per ragioni di sicurezza” e che “rimarca chiaramente la neutralità dello Stato”. Originariamente la legge era stata pensata per vietare che chi lavorasse o si recasse in un ufficio del dipartimento governativo e in una qualsiasi istituzione finanziata dalla provincia, come le università, potesse avere il capo coperto. La misura è poi stata ampliata ai comuni, alle scuole, alla sanità e ai trasporti pubblici e così è stata approvata. “I servizi pubblici devono essere dati e usufruiti col viso scoperto, per ragioni di sicurezza, identificazione e comunicazione”, aveva anticipato già l’anno scorso Vallée.

C’erano già stati due tentativi da parte del Quebec di legiferare in materia, ma entrambi senza successo. Ci provarono inizialmente i Liberali al governo nel 2010 e poi, nel mandato successivo, il partito separatista (Parti Québécois) al potere, che aveva cercato di vietare l’esibizione di simboli religiosi da parte di insegnanti, dottori e altri lavoratori del settore pubblico.

“È una soluzione inventata per un problema che non esiste“, ha detto al Guardian Ihsaan Gardee del Consiglio nazionale dei musulmani canadesi. “Non c’è nessun’orda di donne velate che lavorano nei servizi pubblici o che vi accedono con difficoltà”. Secondo altri – continua il giornale inglese citando un sondaggio del 2016 da cui emergeva che solo il 3% delle donne musulmane in Canada indossano il velo integrale – questa legge sarebbe un modo per ingraziarsi quella fetta di popolazione più scettica sul tema dell’integrazione e guadagnare voti in vista delle elezioni provinciali dell’anno prossimo.

 

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