Non è entusiasmante votare con il sospetto che il proprio voto sarà di nuovo svalutato da elementi di incostituzionalità o, nel migliore dei casi, da profonde contraddizioni interne della legge elettorale, stavolta il Rosatellum. Non capisco nulla di alchimie elettorali, ma percepisco un profondo scontento, anche perché la statistica – di cui qualcosa, invece, capisco – non lascia immaginare un quadro chiaro su chi e come eserciterà i poteri legislativo ed esecutivo. Per contro, la statistica suggerirebbe una coraggiosa rivisitazione del modello di selezione democratica.

Nel Terzo millennio la democrazia rappresentativa, modello uscito vittorioso dalle guerre calde e fredde del XX secolo, ha inforcato una parabola discendente in tutto l’Occidente. Più suolo viene consumato, più l’aria viene saturata da gas tossici e più anticipa la data dell’Earth Overshoot Day, meno le decisioni scaturiscono da un confronto informato, aperto e condiviso dalla gente; ma sono trasmesse alla popolazione come scelte ineluttabili in nome della modernità, della crescita, del mercato. E, almeno in apparenza, la gente non ha avuto finora difficoltà ad accettarle, poiché si «preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere» come aveva anticipato Ludwig Feuerbach a metà Ottocento.

A partire dal 2011 sono evaporati in Italia i governi eletti dal popolo o almeno i governi che praticano i programmi votati dagli elettori. Anzi, chi ha governato, lo ha fatto in direzione ostinata e contraria, in senso del tutto opposto a quanto promesso agli elettori, poiché «nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso» come aveva previsto Guy Debord negli anni 60 del XX secolo. Le elezioni non sono state abolite, ma adeguate ogni volta a necessità transitorie, quando cambiare le regole appare un mezzuccio affinché nulla cambi nella selezione della classe dirigente.

Poiché dubito che il Rosatellum entusiasmerà la gente, non escluderei larghe astensioni, come capita sempre più spesso. E l’astensione da società evoluta premierà chi vuole un voto informato per continuare a comandare senza intoppi praticando un pensiero debole, giacché perfino Franklin D. Roosevelt ammise un giorno che: «i presidenti vengono prescelti, non eletti». Daremo ragione ancora una volta ai pensatori che, analizzando la crisi della democrazia, sostengono che «votare non è più democratico».

Il Rosatellum prevede, da quanto capisco, un terzo di eletti con il sistema maggioritario (collegi uninominali) e due terzi con il proporzionale; un sistema asimmetrico, che si potrebbe correggere riducendo a un terzo anche la quota proporzionale. E il restante terzo? Perché non avere il coraggio di sorteggiare un terzo dei parlamentari così come facevano l’Atene di Pericle e la Venezia dei Dogi? Non sarebbe una trovata peregrina, ma la realizzazione del pensiero di Aristotele e Montesquieu; e del sogno incompiuto di un padre fondatore degli Stati Uniti come Thomas Jefferson.

Un gruppo di studiosi italiani di varia estrazione culturale (fisici, sociologi, economisti) ha dimostrato che una certa quota di parlamentari scelti con il sorteggio aumenta l’efficienza e la produttività dell’istituzione legislativa. Più casualità e meno antipolitica è la loro ricetta, basata su rigorosi presupposti statistici. Questa ricetta ha suscitato un certo clamore e stimolato interessanti dibattiti a livello internazionale, in particolare nel mondo anglosassone. Purtroppo, il loro lavoro è stato invece accolto con indifferenza e ritrosia nella patria della ballotta (veneziana) e dell’imborsazione (fiorentina).

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