Negli inceneritori lombardi non c’è più posto. La monnezza delle imprese e gli scarti delle raccolte differenziate devono andare nelle discariche delle regioni vicine, oppure a bruciare all’estero. Al loro posto arrivano i sacchi neri di Lazio e Campania, in affanno costante per la mancanza di impianti di smaltimento sul loro territorio. Così, mentre le aziende lombarde sono sul piede di guerra per i costi di gestione dei rifiuti lievitati anche del 30%, si annunciano aumenti pesanti delle bollette dei cittadini lombardi e quelli del Sud sono già gravati da tariffe più alte. A guadagnarci, insomma, sono solo i gestori di discariche e inceneritori: fanno i prezzi e decidono quali rifiuti prendere, tenendo così in mano i conti di imprese, Comuni e famiglie. E a pochi giorni al referendum per l’autonomia della Lombardia il problema si trasforma in scontro politico tra Milano e il governo centrale. Con il ministero dell’Ambiente che respinge ogni responsabilità – “Tutta colpa della Regione, e nessuna segnalazione fatta entro il 30 giugno come prevede la legge” – e l’assessore regionale Claudia Terzi che dal Pirellone invece rilancia: “Siamo cornuti e maziati. Con la vittoria del sì al referendum potremo finalmente scegliere in autonomia, ma nonostante lo Sblocca Italia ci tolga potere decisionale sul nostro territorio intanto faremo una delibera per uscire dall’emergenza”.

Piazzali stipati di rifiuti, depositi pieni come un uovo. Stoccati in attesa di essere smaltiti ci sono rifiuti ingombranti, ma anche pneumatici fuori uso, e scarti industriali in plastica, carta e legno che non possono essere riciclati. “Negli inceneritori regionali da qualche mese non c’è più posto per gli scarti delle aziende e per i residui generati dal trattamento delle raccolte differenziate dei cittadini. Fino a qualche anno fa il sistema qui era autosufficiente, mentre oggi questi rifiuti devono andare in discarica, non solo in regione, ma anche in Liguria, Veneto, Piemonte e Toscana, oppure in impianti esteri di incenerimento con un aumento dei costi per le imprese del recupero anche del 30% e oltre”, spiega a ilfattoquotidiano.it Mara Chilosi, avvocato ambientale e coordinatrice del comitato scientifico di Assorecuperi (Confcommercio). L’associazione rappresenta decine di aziende che da settimane stanno protestando contro una situazione diventata “insostenibile”.

“Negli ultimi anni il 70% dei rifiuti che trattiamo andava ai termovalorizzatori e solo il 30% in discarica. Oggi che gli inceneritori lombardi hanno chiuso le porte la proporzione si è invertita, siamo tornati ai livelli del 2010”, dice il direttore tecnico di un’impresa della provincia di Bergamo. Così, con l’aumento della domanda, aggiunge un altro imprenditore lombardo del settore, “sia gli inceneritori, sia le discariche, sia i cementifici che bruciano rifiuti hanno alzato i prezzi. Ovunque ci sono rifiuti da smaltire e in questo quadro sono loro ad avere più potere contrattuale e dettare le regole. Noi stiamo a elemosinare un po’ di spazio per la nostra immondizia”. E il pensiero di qualcuno va al moltiplicarsi di fuochi negli stabilimenti di gestione dei rifiuti, anche in Lombardia: “Sarà la magistratura ad accertare le cause e le eventuali correlazioni degli incendi con questa situazione emergenziale. Certo è che con l’aumento degli stoccaggi cresce il rischio di incendio, sia colposo, sia anche doloso. A volte purtroppo le fiamme possono essere viste come l’unico modo per liberarsi di rifiuti stoccati”, aggiunge Chilosi.

Se le aziende sono in affanno, presto le criticità avranno effetti anche sui cittadini. Qualche mese fa Crema ha dovuto fare un’ordinanza per obbligare l’inceneritore a bruciare dei rifiuti stipati nella piazzola ecologica del Comune e Monza sta registrando rincari di circa 1 milione di euro. Costi che si faranno per forza sentire in bolletta, perché per legge le spese di igiene urbana vanno coperte completamente con la Tari. Secondo Assorecuperi e la Regione alla base di tutto c’è lo Sblocca Italia. Nel decreto varato nel 2014 si stabilisce che gli inceneritori, dopo aver bruciato i rifiuti urbani della propria regione, devono smaltire quelli di altre regioni e in via complementare gli scarti pericolosi a rischio infettivo. “Questa norma ha quindi escluso dai nostri 13 impianti i rifiuti classificati come speciali non pericolosi: cioè sia gli scarti delle aziende, sia i residui del trattamento delle raccolte differenziate dei cittadini”, dice a ilfattoquotidiano.it l’assessore regionale all’Ambiente Claudia Terzi. Una legge regionale di fine 2014 ha provato a far rientrare almeno questi ultimi tra la monnezza da bruciare dagli impianti lombardi, ma in seguito al ricorso del governo è stata giudicata incostituzionale dai giudici della Corte.

A tarare meglio il provvedimento dello Sblocca Italia ci sarebbe un decreto del presidente del Consiglio emanato più di un anno e mezzo dopo, che almeno ammette negli inceneritori regionali gli scarti delle differenziate, ma per l’assessore “è in contraddizione con lo Sblocca Italia, che essendo una legge di rango superiore prevale. Lo abbiamo segnalato più volte al ministero dell’Ambiente, anche con una lettera ad agosto, ma non abbiamo mai avuto risposte. L’ambiente è una delle materie su cui, se vincerà il sì, il presidente Maroni ha detto di voler chiedere subito più autonomia. Così finalmente potremo decidere da soli per il nostro territorio”. E per la Regione non è facile nemmeno il confronto con i gestori di inceneritori, quelli che poi materialmente hanno in mano i flussi di rifiuti e fanno i prezzi: “Per loro oggi è più conveniente economicamente prendere i rifiuti urbani da fuori regione al posto degli speciali regionali, ma allo stesso tempo è anche un obbligo di legge che devono rispettare”.

Le argomentazioni dell’assessore Terzi, spiegano dal ministero dell’Ambiente a ilfatto.it, “appaiono francamente poco comprensibili”, perché lo Sblocca Italia e il decreto successivo “definiscono una strategia totalmente diversa” da quella evidenziata e criticata dal Pirellone, “e demandano alle regioni competenti il compito di darne concreta attuazione”. Dunque, secondo gli uffici del ministro Galletti, la responsabilità è tutta della Regione, che ha un “importante ruolo in tutti gli aspetti autorizzativi e di pianificazione”. E per il dicastero, il comportamento degli inceneritori alla base dell’ingorgo di monnezza non è dettato dal rispetto di una legge dello stato, ma piuttosto “dalle mutate condizioni commerciali del prodotto rifiuto che, comprensibilmente, incentivano gli impianti lombardi a preferire rifiuti provenienti da altre regioni, con ciò, però, saturando le capacità di trattamento e quindi la possibilità di ricevere i rifiuti lombardi”. Sul tema dell’organizzazione dei flussi da bruciare, però, al momento non ci sono linee guida precise. La Lombardia aveva previsto un accordo tra Regioni, ma anche questo provvedimento è stato cassato dalla Corte costituzionale.

Il ministero avrebbe previsto una cabina di regia tra le amministrazioni regionali, che potrebbe servire anche a risolvere emergenze come quella scoppiata questa estate, quando il problema delle difficoltà a smaltire gli scarti della raccolta differenziata della plastica è emerso in tutta Italia. L’Anci, come rivelato da ilfattoquotidiano.it, aveva scritto una lettera a Galletti, che in mancanza del coordinamento tra i governatori aveva potuto solo inviare alle amministrazioni regionali una missiva di moral suasion. Al momento il ministero, spiegano ancora a ilfatto.it dagli uffici di Galletti, “ha avviato, unitamente alla Segreteria della Conferenza Stato-Regioni, le attività propedeutiche alla costituzione della Cabina di regia, sede in cui ben potranno essere affrontati questi temi”. Il tavolo, però, fa notare l’assessore Terzi, “era una promessa fatta alle Regioni più di anno fa e ancora lo stiamo aspettando. Intanto ci siamo beccati lo Sblocca Italia e tutto il resto è andato in soffitta”.

IL DISOBBEDIENTE

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