Dopo lo stallo lungo quattro legislature, la sua approvazione è stata salutata come una festa. Ma la legge che riconosce la specificità dei piccoli comuni, dopo anni di tagli a questi ultimi e attenzione soprattutto alle grandi città, lascia ai centri minori solo le briciole. Molte parole, pochi soldi: 10 milioni di euro per il 2017, altri 15 milioni annuali dal 2018 al 2023. Un totale di 100 milioni che sono insufficienti per dare corpo agli obiettivi di riqualificazione dei centri storici, promozione del turismo sostenibile, garanzia dei servizi per i cittadini, arresto dell’esodo demografico. Misure che riguardano oltre 5.500 comuni, circa il 55% del territorio italiano. E invece da Roma sono solo pochi spiccioli quelli inviati per affrontare il problema del dissesto idrogeologico, forse la principale emergenza nei piccoli centri: Italia sicura ha stanziato 12 miliardi di euro, ne servono 29 per tutelare il territorio nazionale.

Triplicare il fondo
Dopo le belle parole, adesso i sindaci vogliono soldi veri e la semplificazione amministrativa. “Abbiamo chiesto al premier Gentiloni di portare il fondo a 300-500 milioni con la prossima legge di Bilancio. Ci ha risposto che è una richiesta ragionevole, siamo fiduciosi”, dice al fattoquotidiano.it il presidente dell’Anci, Antonio Decaro. Se infatti il primo firmatario della legge, il deputato Pd e presidente onorario di Legambiente Ermete Realacci si è spinto a dichiarare che avrebbe “approvato questa legge anche senza un euro”, i sindaci non la vedono allo stesso modo. “La legge è straordinaria – dice Decaro rappresenta un segnale importante. Per fermare davvero l’esodo dai piccoli centri e quindi garantire un presidio reale contro il dissesto e per la tutela dei beni comuni, però, servono più soldi. Dove sono stati applicati incentivi le persone sono tornate”. Il punto è sciogliere la contraddizione delle politiche statali: “Da una parte si approva la legge per i piccoli centri, che rimane un segnale culturale molto significativo, ma dall’altra negli ultimi 15 anni c’è stata una tendenza costante a svuotare gli enti locali di risorse e poteri decisionali: è aumentata la burocrazia, sono diminuiti i trasferimenti statali, non è più possibile per i piccoli assumere e formare personale, molti servizi sono stati sottratti alla gestione dei Comuni”, spiega  il coordinatore dell’associazione dei Comuni virtuosi Marco Boschini.

Vittime della debolezza politica
Negli anni di sacrifici i piccoli ne hanno già fatti. “Nei piccoli c’è una maggiore attenzione ai dettagli e l’efficienza è più alta. La stessa spesa amministrativa pro capite è più bassa nei Comuni piccoli che in quelli grandi. Una forchetta che negli anni si è ampliata, anche perché le grandi città, contando sulla propria forza politica, hanno ottenuto deroghe alla spesa che hanno fatto sopravvivere le inefficienze”, riflette il sindaco di Borgarello, comune di 2.700 abitanti alle porte di Pavia, Nicola Lamberti. Il primo cittadino ha rinunciato all’indennità di carica e fermato la cementificazione, razionalizzando le spese per tenere a galla il bilancio senza oneri di urbanizzazione, ma tra mille difficoltà: “Negli ultimi anni sono stati imposti tagli agli enti locali prendendo come riferimento la spesa di qualche anno prima. Così, chi era virtuoso e aveva già ridotto ha dovuto tagliare ancora, mentre chi era stato meno oculato si è trovato comunque con degli spazi per continuare a sperperare”. I soldi del fondo per i piccoli Comuni, che comunque si sbloccheranno dopo l’approvazione da parte dei ministeri di un Piano ad hoc entro sei mesi, potrebbero servire a fare gli investimenti oggi bloccati dal Patto di stabilità: “In val Camonica, per esempio, abbiamo cominciato a lavorare a livello di territorio. Ma un milione di euro potrebbe servire solo a noi: la legge è ottima ma servono più risorse”, aggiunge il primo cittadino di Malegno, paesino in provincia di Brescia di 2mila abitanti, Paolo Erba.

Snellire la burocrazia
Ma non è solo una questione di soldi. Decaro ha chiesto a Gentiloni anche “l’avvio di una concreta riforma per la semplificazione amministrativa rivolta ai Comuni di minori dimensioni, che elimini adempimenti burocratici inutili. Penso agli allegati di bilancio, o al Piano anticorruzione, richiesto anche a piccolissimi Comuni che non fanno neanche una gara d’appalto”. “Ci troviamo a dover rispondere agli stessi adempimenti di grandi città, ma senza avere a disposizione le stesse risorse. Noi per esempio abbiamo un geometra per 18 ore settimanali: gli oneri burocratici sono un appesantimento importante, il tempo che poi rimane per dedicarsi alle necessità locali è poco”, aggiunge Ileana Schipani, dal 2011 sindaco di Scontrone, 600 abitanti, in provincia dell’Aquila. Risorse umane che, aggiunge Decaro, rischiano di essere ancora ridotte dalle attuali leggi sul personale: “Al momento è ammesso il 100% del turnover solo per i Comuni fino a 3mila abitanti, chiediamo di alzare questa soglia fino a 5mila. Considerando anche che sostituire un dipendente che va in pensione con un nuovo assunto lascia la spesa pubblica invariata”.

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