Il caso di Harvey Weinstein, il potente produttore cinematografico statunitense accusato in queste ore di molestie e violenze sessuali su molte attrici, sta avendo una risonanza fortissima nel mondo occidentale. Perché? Forse perché è una vicenda che riguarda persone famose e la copertura mediatica è notevolmente amplificata? Può darsi, ma mi pare che il caso Weinstein rilevi anche perché è un caso universale, che rievoca la questione del rapporto tra vittima e colpevole.

In tutte le teorie della vittima non si può eludere la domanda tremenda, ambigua, che rischia di essere interpretata come un tentativo di colpevolizzazione: perché non vi ribellaste? È una domanda che risuona fin dalla notte dei tempi. Perché Isacco – che nell’iconografia tradizionale, da Ghiberti a Brunelleschi, da Caravaggio a Rembrandt fino ai giorni nostri è un giovinetto, ma che è in realtà è un forte e maturo uomo di 37 anni (secondo un’altra versione, di 26) – si lascia trascinare sul monte Moriah da un ultracentenario Abramo per essere sacrificato? Perché chiede al padre di legarlo bene, affinché il suo corpo non venga corrotto da ferite che lo renderebbero inservibile, così dice il Levitico (“Non offrirete al Signore nessuna vittima cieca o storpia o mutilata o con ulcere o con la scabbia o con piaghe purulente”), al sacrificio? Gershom Sholem, in una lettera a Hannah Arendt, scrive alla filosofa che la ‘nuova gioventù di Israele’ pone una domanda del tutto giustificata, ma di cui egli non vede risposta: “perché si sono lasciati massacrare?”. In fondo è la questione del giudice Hausner alle vittime durante il processo Eichmann a Gerusalemme.

Insomma, perché a volte le vittime non denunciano? La domanda di Hausner, o quella della ‘nuova gioventù di Israele’ di cui parla Sholem, tendono a colpevolizzare le vittime: è stata colpa loro. Da un lato la nuova gioventù, forte, marziale; dall’altro le pecore che si lasciarono sgozzare. Tuttavia, anche nella concetto di ‘colpa’ occorre scavare per capire. Poiché le vittime sono talvolta sottoposte a una violenza simbolica che le fa partecipi dei codici dei dominanti, degli aguzzini. E così, talvolta, la vittima sente di meritare ciò che le accade, come quegli schiavi che dimostravano gratitudine per i padroni. La violenza simbolica allontana la colpa, poiché ritiene che la vittima sia avvolta in una nebbia che le impedisce di ribellarsi, di vedere il torto subito. Eppure, non può essere questa una spiegazione che spiega tutto. Altrimenti non spiegherebbe perché alcune vittime si ribellano. Asia Argento dice “avevo paura che potesse distruggere la mia carriera”. Non sarà mai abbastanza detto che qui c’è un aguzzino e dall’altra parte, dalla parte opposta, ci sono le vittime. Nessuna zona intermedia. E questo è stato detto in lungo e in largo, è stato scritto ovunque, nonostante la stampa italiana sia assai aggressiva nel dire che le vittime del caso Weinstein non hanno ricevuto la considerazione che meritavano, anzi sono state accusate di aver parlato troppo tardi, o di aver taciuto. Eppure.

Eppure ci sono donne che hanno denunciato, e che sono oggi testimoni inesistenti, perché avendo respinto le avances del produttore la loro carriera è finita. Il testimone perfetto, à la Primo Levi, è quello che non può parlare, perché è andato fino in fondo, ha subito tutta l’abiezione. A quelle donne penso oggi. Quelle che hanno detto fanculo alla carriera. E che sono state male, distrutte, hanno visto le ambizioni maciullate, il futuro polverizzato.

Se si è taciuto, peraltro, si è taciuto da parte degli uomini e delle donne. Gli uomini come Brad Pitt sapevano perfettamente, e hanno taciuto. Per le donne si può pensare alla violenza simbolica, appunto, o più banalmente alla paura, al terrore. Ma gli uomini perché hanno tenuto in vita una situazione attraverso una sorta di ‘omertà nazionale’?

Oggi Asia, Angelina, Gwyneth, Mira, possono parlare. Non sarà facile per loro. Sarà tremendo. Ma possono parlare. E allora, posta la distinzione ineludibile tra vittima e carnefice, risuona la domanda universale nei loro confronti: perché vi lasciaste massacrare? Non c’è teoria della vittima che, quando abbia intravisto una via d’uscita, non abbia cercato una risposta a questa terribile domanda.

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