L’ex ad della ThyssenKrupp Acciai Speciali Harald Espenhahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitzcondannati in via definitiva il 13 maggio 2016 per omicidio colposo plurimo al termine del processo per il rogo allo stabilimento di Torino in cui, tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette operai, sono ancora liberi. A cinque mesi dalla polemica sulla traduzione della sentenza il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha chiesto al suo omologo tedesco che la Germania dia esecuzione al verdetto.

Per Espenhahn, condannato a nove anni di reclusione, e Priegnitz, condannato a sei anni, è stata chiesta l’estradizione in Italia, ma questa è stata dichiarata non ammissibile in quanto sono entrambi di cittadinanza tedesca. Nei primi mesi del 2017 l’Italia ha quindi chiesto all’autorità giudiziaria tedesca di riconoscere la sentenza ed eseguire in Germania la relativa pena a carico delle due persone coinvolte. Richiesta ora rinnovata da Orlando che a margine della riunione del Consiglio GAI in corso a Lussemburgo, ha incontrato il suo omologo tedesco Heiko Maas, che si è impegnato a svolgere nel più breve tempo possibile un approfondimento sulla questione, al fine di poter dare riscontro alla richiesta italiana. Al termine del colloquio, il Guardasigilli gli ha consegnato una lettera che riepiloga i principali passaggi della vicenda.

Gli imputati condannati invece stanno tutti scontando la pena. La sentenza della Cassazione (qui le motivazioni) è arrivata il 13 maggio 2016, un venerdì sera, e il sabato mattina gli italiani si erano consegnati alle forze dell’ordine per poi andare in carcere a Terni e a Torino. Lunedì 16 maggio, rientrati nei loro uffici, il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi e il procuratore generale Francesco Saluzzo avevano emesso un mandato di arresto europeo per Espenhahn e Priegnitz e il 25 maggio erano state diramate le ricerche dei due condannati, localizzati in Germania.

Lì era stata consegnata la documentazione per l’arresto, ma il 4 agosto la procura generale di Hamm aveva comunicato al ministero della Giustizia il rifiuto della consegna: in base alle norme sul mandato di arresto europeo un’autorità giudiziaria può rifiutare di eseguire il mandato contro i suoi cittadini per eseguirla “conformemente al suo diritto interno”. In Germania, in base ai codici, Espenhahn e Priegnitz non sconteranno le pene stabilite dai giudici italiani, rispettivamente nove anni e otto mesi il primo e sei anni e tre mesi il secondo. La detenzione potrà durare fino a un massimo di cinque anni, pena massima prevista dal codice penale tedesco per l’omicidio colposo.

A questo punto il ministero di via Arenula aveva chiesto di seguire le procedure previste da un’altra decisione quadro dell’Unione europea. Così, una volta arrivate le motivazioni della sentenza della Cassazione, il ministero aveva fatto tradurre le sentenze e il 13 marzo le aveva inviate in Germania. La procura generale di Hamm aveva informato il ministero di aver convalidato il “certificato” (o meglio, di aver proceduto alla “delibazione”). Ma da allora nulla più è successo.

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