Talvolta ci pensa la realtà fattuale a confutare in blocco le grandi narrazioni con cui chi occupa posizioni di dominio mira a occultare la contraddizione e a glorificare come universalmente buono l’ordine che buono è solo per i dominanti stessi. È quanto recentemente accaduto a Taranto con la tristemente nota vicenda dell’Ilva. L’aspetto positivo della scomparsa del contratto integrativo che azzera le anzianità e abbassa i salari dei dipendenti – se mai può esservene uno – è che se non altro ora è davvero inconfutabilmente chiaro l’autentico significato del Jobs act, l’orwelliana “riforma” con cui, mediante il suo partito di riferimento, la classe apolide e sradicata dominante dei mondialisti deregolarizzatori ha cannoneggiato le ultime tutele che ancora normavano il mondo del lavoro e tutelavano, per quanto parzialmente, la classe che vive del suo lavoro.

Non v’è poi narrazione che regga. I cantori ditirambici degli universali benefici del Jobs act non hanno più argomenti. Dall’Ilva abbiamo i primi effetti concreti dell’applicazione del famigerato Jobs act. Sono ante oculos, non ci resta che vederli, senza nascondere la testa nella sabbia alla maniera degli struzzi.

Quelli che non sono giudicati “esuberi” – così li appella la neolingua liberista – verranno licenziati e riassunti generosamente. Perché questo farraginoso passaggio? Elementare, Watson! In questa maniera, perderanno en bloc anzianità, inquadramento, ecc. Praticamente, avremo dinanzi a noi – prodigi del Jobs act! – persone che dopo trent’anni di lavoro verranno considerati neoassunti. E che, naturalmente, vengono trattate come tali in tutto e per tutto.

Insomma, un successone, sì: per i signori del mondialismo e del competitivismo globalizzato. Un colpo di pistola sparato in faccia alla classe che vive del suo lavoro. Se ancora vogliamo chiamare le cose con il loro nome e resistere alla tirannia della neolingua.

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