Yosep Borrell, socialista catalano di lungo corso, chiudendo l’imponente manifestazione unionista ha criticato le imprese catalane in fuga da Barcellona chiedendosi: “perché tanta fretta di trasferire altrove le vostre sedi legali? Non potevate manifestare prima queste intenzioni?”.

Borrell, ex presidente del Parlamento europeo ha ragione. In questi ultimi giorni ha sorpreso non poco il silenzio attonito, quasi inebetito, del movimento indipendentista di fronte al trasferimento di imprese in altre regioni spagnole.

Non si tratta di perdere posti di lavoro, almeno in una prospettiva di medio termine, tuttavia quegli atti societari sanciscono non una semplice dislocazione di un domicilio, essi rivelano la sfiducia verso un progetto separatista azzardato, basato sull’improvvisazione e sulla demagogia.

In queste ore è divenuto virale un video che racchiude gli interventi pubblici del leader indipendentista Artur Mas, l’ex president della Generalitat ripeteva con enfasi “no se marcharán, no se marcharán!” (non andranno via) le banche e le imprese in caso di compimento del processo di autodeterminazione.

Senza neanche attendere la possibile dichiarazione unilaterale di indipendenza, sono già andate via decine di aziende, tra le altre la potente CaixaBank, Gas Natural Fenosa e Aguas de Barcelona (Agbar), come se un brand identitario qual è il Monte Paschi trasferisse il vertice da Siena a Roma o l’acqua San Pellegrino lasciasse la bergamasca.

Una fuga che non ha il valore di una diserzione, piuttosto svela in leggero anticipo sui fatti che verranno una verità spesso sminuita o sottaciuta, la Catalogna tra poche ore potrebbe cambiare il suo status passando da regione autonoma di uno Stato membro dell’Unione europea a paese terzo, fuori dal mercato unico e dall’eurozona. Sospesa da Schengen e dai trattati internazionali.

La propaganda indipendentista ha puntualmente negato questo scenario fosco per non demoralizzare un elettorato mosso da un convinto sentimento europeista e una classe imprenditoriale con lo sguardo naturalmente volto al mercato internazionale.

Eppure l’articolo 14 della legge di “desconexión” – assetto normativo utile a ratificare il distacco unilaterale da Madrid per divenire, nella fase transitoria, la norma fondante del nuovo Stato – candidamente prevede la persistenza nel futuro ordinamento catalano delle norme europee già in vigore e di quelle di prossima emanazione. Insomma, cambiano radicalmente i rapporti con il Regno di Spagna ma rimane tutto inalterato in ambito internazionale.

Il castello costruito dalla propaganda si è sbriciolato in un momento, el relato, la narrazione, non poteva reggere all’esodo di imprese costituenti la spina dorsale del brand Barcelona.

Intanto il primo ministro Mariano Rajoy, noto temporeggiatore, aspetta seduto sulla sponda del fiume. Non ha finora usato la clava dell’articolo 155 della Costituzione decretando la sospensione dei poteri della regione autonoma, non ha ceduto alle istanze di dialogo (#parlem è l’hastag più popolare) provenienti dalla piazza e dalle cancellerie internazionali.

Rimane attendista, immobile, quasi a voler confermare, una volta di più, l’immagine che si ha di lui “una lepre paralizzata nel mezzo della strada, abbagliata dai fari, aspettando che l’investano”.

Sa che gli indipendentisti non riescono a far passare, a livello internazionale, l’idea di una Catalogna oppressa dal governo centrale, la regione gode in realtà di un’ampia autonomia, è dotata persino di un codice civile proprio nel quale si disciplinano, in modo diverso dalle norme spagnole, il diritto di famiglia e i rapporti commerciali.

Rajoy sa, al pari dei leader dell’altro fronte Puigdemont e Junqueras, che esacerbare gli animi risponde ad un preciso disegno utilitaristico, la fidelizzazione degli elettori è un obiettivo non dichiarato dei due schieramenti.

Nel mezzo c’è una società lacerata, una comunità dove sembrano pullulare fascisti e golpisti, “eres un facha” (sei un fascista) se dissenti da un’opinione altrui o se partecipi pacificamente ad una manifestazione unionista, un golpista se ritieni di votare in una semplice consultazione, seppur priva di garanzie. Epiteti espressi con normalità perché è normale convivere con “fascisti” e “golpisti” in una società radicalizzata, basata sul dualismo manicheo.

Un’intolleranza che rende attuali le parole usate da Lluis Companys, presidente della Generalitat, quando il 6 ottobre del 1934 dichiarò l’indipendenza della Catalogna: «il governo che presiedo» disse solennemente Companys “proclama lo Stato catalano della Repubblica federale spagnola e, serrando i ranghi di coloro che sono uniti nella comune protesta contro il fascismo, li invita a sostenere il governo provvisorio della repubblica catalana”.

Quella Repubblica durò 10 ore, vedremo presto se, 83 anni dopo, la dichiarazione d’indipendenza dei prossimi giorni durerà qualche tempo in più.

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