“Un inaccettabile intento di appropriazione delle istituzioni storiche della Catalogna”, condotto da autorità “sleali” che “si sono messe al margine del diritto e della democrazia” e che “hanno voluto spezzare l’unità della Spagna” con una “condotta irresponsabile“. È in questo modo, fermo e senza concessioni, che re Felipe VI di Spagna ha definito il referendum catalano di domenica scorsa. A 48 ore dalla consultazione indipendentista che ha visto recarsi alle urne più di 2 milioni di persone, che per il 90% hanno votato “sì” all’indipendenza della regione dalla Spagna, il sovrano iberico ha infatti rivolto un discorso alla nazione. Discorso che, secondo il sindaco di Barcellona Ada Colau, è stato “irresponsabile e indegno di un capo di stato”. “Nessuna soluzione. Nessun accenno ai feriti. Nessun appello al dialogo”, ha scritto la Colau su Twitter.

C’era chi aspettava proprio dal sovrano – salito al trono ormai più di tre anni fa per un apparente rinnovamento della monarchia – la chiave per il superamento della crisi. Invece il discorso durato poco più di 4 minuti si è concentrato tutto sulla difesa dell’unità del Paese, sulla preoccupazione della tutela delle istituzioni democratiche ancora molto “giovani” in Spagna. Secondo il re, dunque, il voto del primo ottobre “ha messo a rischio l’unità e l’economia del Paese”. E nel giorno in cui centinaia di migliaia di catalani sono scesi in piazza per protestare contro le violenze della polizia durante il referendum, il re non ha fatto nessun accenno agli scontri, salvo dire che “la Corona è impegnata a rispettare la democrazia e la Costituzione“. Re Felipe ha voluto trasmettere agli spagnoli un messaggio di “tranquillità, sicurezza e speranza“, come ha detto lui stesso. E ai catalani “preoccupati per il comportamento delle autorità della Catalogna”, quelli cioè che non seguono la spinta indipendentista, il sovrano ha voluto esprimere “la solidarietà di tutti gli spagnoli”, assicurando loro che “la vostra libertà e i vostri diritti saranno difesi“. “Questi sono momenti difficili, ma insieme li supereremo perché crediamo nel nostro Paese e siamo orgogliosi di chi siamo. Nella Spagna che vogliamo c’è anche la Catalogna“.

I due principali partiti del centrodestra spagnolo, il Partito popular del premier Mariano Rajoy e Ciudadanos hanno approvato senza riserve il discorso di re Felipe. Il vicesegretario popolare Pablo Casado ha chiesto che tutti i partiti aderiscano al messaggio di “responsabilità” del re. Il presidente di Ciudadanos Albert Rivera, barcellonese, combattente da sempre contro le spinte indipendentiste catalane, ha detto di “condividere la diagnosi” del re. In linea con la Colau, naturalmente, il segretario di Podemos, Pablo Iglesias. “Non in nostro nome!” ha twittato. “Come leader di un partito che rappresenta più di 5 milioni di spagnoli dico al re non eletto: non in nostro nome”. Per la capogruppo Irene Montero il re “non ha rappresentato i milioni di persone che vogliono il dialogo. Si è schierato con il Pp però non con la Spagna, né con la democrazia”. I socialisti del Psoe restano per ora in un significativo silenzio. Il segretario Pedro Sanchez vuole un dialogo immediato con il governatore della Catalogna Carles Puigdemont. Dopo le violenze di domenica, infatti, il partito socialista sta cambiando linea. Ha chiesto per esempio un voto di censura in parlamento contro Soraya Sáenz de Santamaría, vicepresidente del governo, che considera responsabile politicamente dei blitz violenti che hanno provocato sdegno in tutto il mondo. E infatti su Sanchez preme proprio Podemos, che oggi ha proposto al leader Psoe di pilotare una mozione di censura per rovesciare il governo minoritario di Rajoy, che appare sempre più fragile. “I numeri – ha detto la Montero – ci sono”.

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