E’ il mercato ad insegnarci la funzione comunicativa del rebranding proprio perché il più delle volte la forma conta infinitamente più della sostanza. Hai un problema? Inizia a ridefinirlo lessicalmente ed esso lentamente finirà per subire una mutazione. Nella sostanza resta, ma nella forma finirà per dissolversi.

Sotto il profilo comunicativo è emblematica la strategia della Giunta Raggi adottata negli 4 mesi riguardo la “questione rom”. Per molti versi è risultata vincente, dobbiamo ammetterlo. Sono quasi riusciti a convincere i cittadini romani. Poi, a cascata, i comitati di quartiere, le associazioni, i giornalisti, i rom.

Hanno iniziato con l’assumere una “super esperta”, poi hanno disseminato il circo mediatico di parole-chiavi: “Strategia Nazionale di inclusione”, “integrazione abitativa e lavorativa”, “diritti e doveri”, ripetendo il ritornello che è finito il “magna magna”, che la loro idea per il superamento dei campi è straordinariamente innovativa con i mental coach nelle baraccopoli romane per inaugurare start-up.

Ma alla prima prova dei fatti scopriamo che il superamento dei campi rom romani, quello definito un “capolavoro” da Beppe Grillo, è solo un grande bluff. Ce ne accorgiamo limitandoci ad osservare ciò che sta accadendo presso il campo Camping River, abitato da 400 rom che l’Amministrazione, che si è impegnata a chiudere entro il 30 settembre.

Dallo scorso anno l’Anac aveva segnalato al Comune di Roma l’anomalia dell’insediamento, affidato in maniera diretta e senza bando da 12 anni allo stesso ente. L’Amministrazione Capitolina aveva pensato di bypassare l’Ufficio di Cantone con un bando scritto a misura sull’ente gestore, l’unico, del resto, che aveva presentato l’offerta. L’Anac è prontamente intervenuta chiedendo chiarimenti: trucco scoperto e bando saltato.

La nuova storia della chiusura del campo rom sulla via Tiberina è ricominciata il 28 giugno 2017 quando, con la delibera di Giunta n. 146 è stato deciso che il Camping River sarà il primo “campo” ad essere superato secondo le linee guida del Piano a firma Raggi: per i residenti con un reddito superiore ai 10.000 euro è previsto l’allontanamento, mentre per quelli considerati indigenti sarà erogato un «incentivo finalizzato a finanziare la compartecipazione alla spesa per l’utilizzo di moduli abitativi». Perché “moduli abitativi” e non “abitazioni convenzionali”? Nessuno capisce il motivo e qualcuno avanza sospetti. Ma si va avanti.

A fine agosto la Guardia di Finanza completa l’indagine patrimoniale sui 250 adulti residenti. Per la stragrande maggioranza, quelli con Isee pari a 0, senza lavoro e con figli a carico, iniziano colloqui individuali. Secondo il testo del Piano è prevista l’analisi delle fragilità, lo studio delle competenze, l’elaborazione di un piano individualizzato, la definizione dei contributi tarati sulle singole esigenze. Niente di tutto ciò: alle famiglie viene ripetuta solo una frase: “Portate un contratto di affitto e riceverete un contributo”.

I rom non capiscono: “Il Comune e la Guardia di Finanza hanno accertato il nostro stato di indigenza e ora ci chiedono di affittare una casa?”.

Ed ecco la svolta clamorosa con cui termina la “sceneggiata” del Comune di Roma. Con la delibera di Giunta n. 2011 Camping River non è più un campo rom ma una “struttura ricettiva diretta all’accoglienza temporanea”. E contestualmente per i rom, in alternativa alla casa in affitto, viene comunicata la possibilità, con il contributo del Comune di Roma, di riallocarsi in una struttura di questo tipo: senza spostarsi di un centimetro, negli stessi “moduli abitativi” citati nella delibera di giugno.

Il gioco delle tre carte è completo: Camping River non è più un campo rom, il campo non esiste più, i rom potranno “trasferirsi, senza muoversi, nella “struttura ricettiva” denominata Camping River. Temporaneamente, però. Dopo sei mesi dovranno andarsene definitivamente perché i soldi spesi per la loro “inclusione” saranno intanto terminati. L’accoglienza, si sa, costa.

Raggirati tutti: i rom che desideravano finirla con i ghetti, i comitati di quartiere che non volevano più l’insediamento, i cittadini che hanno creduto alle “favole” della prima cittadina. Resta l’Anac. Su questo Associazione 21 luglio ha già inviato un nuovo esposto visto che alla fine, dopo 12 anni di affidamento diretto, lo stesso ente gestore continuerà ad accogliere le medesime famiglie.

A Roma la stagione dei “campi nomadi” è finita e si inaugura il tempo delle “strutture ricettive per l’accoglienza temporanea” a 5 Stelle, create a colpi di delibere e gestite dai privati con fondi comunali.

La forma è salva. Alla fine è questo ciò che conta.

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