È imputato a Milano per corruzione, concussione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Un’inchiesta che due anni fa gli era costata addirittura l’arresto: secondo l’accusa, infatti, avrebbe truccato una gara d’appalto per il trasporto dei dializzati. Una contestazione che però non gli ha sbarrato la strada per andare a sedersi nella terza commissione del consiglio regionale lombardo: quella che si occupa proprio di Sanità. È l’ultimo incarico arrivato a Mario Mantovani, il politico di Forza Italia che ha guidato per anni la sanità pubblica in Regione Lombardia.

Nel partito di Silvio Berlusconi avranno pensato: chi meglio di lui può occupare quel posto? Chi meglio dell’uomo che era assessore alla sanità e vicegovernatore di Roberto Formigoni? Chi ha più competenza del titolare di un piccolo impero costruito sulle residenze sanitarie per anziani? Nessuno. E anche se appena ieri è finito nuovamente indagato per corruzione – questa volta nell’inchiesta della Procura di Monza sui rapporti tra la politica e la ‘ndrangheta a Seregno – l’ordine di scuderia nel partito azzurro non è cambiato: il loro uomo in commissione Sanità è l’imputato Mantovani.

La nota con cui il presidente del gruppo di Forza Italia comunica la nomina di Mantovani come componente della commissione è datata 20 settembre 2017, ma è stata discussa dal presidente soltanto oggi: appena 24 ore dopo l’ultima inchiesta sul politico berlusconiano. Una cronologia che ha fatto scendere sul piede di guerra i consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle.  “Questa mattina Mantovani, ex assessore della Sanità già arrestato per corruzione e reindagato solo ieri per lo stesso reato, è entrato a far parte della commissione regionale Sanità. È l’ennesima dimostrazione che a parole Maroni promette pulizia, ma nei fatti si smentisce da solo, dato che poi non riesce nemmeno ad arginare l’ingombrante presenza in Lombardia di un politico travolto da scandali contro la pubblica amministrazione, fingendo che la cosa non lo riguardi”, dicono i consiglieri regionali lombardi Dario Violi e Paola Macchi. “È una questione di opportunità: la Lombardia non può e non deve ospitare in Consiglio regionale indagati per corruzione. Le responsabilità politiche di queste vicende, che danneggiano l’onorabilità di dieci milioni di lombardi e l’immagine della stessa Regione, sono indiscutibilmente di Roberto Maroni”.

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