Il centrodestra unito? Al di là dei proclami rivendicati ad Atreju, nella prima giornata della tradizionale festa dei giovani di destra, la coalizione tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia resta ancora soltanto sulla carta. Il motivo? Non bastava l’eterno dilemma irrisolto della leadership, ora è la nuova versione del Rosatellum a dividere il fronte.

Perché se la proposta di legge elettorale conviene a Silvio Berlusconi e ha già ottenuto il via libera di Matteo Salvini, piace invece poco a Giorgia Meloni. “Uno schifo”, l’aveva bollata a caldo. E non sembra aver cambiato idea, tanto da aver lanciato pure un avvertimento diretto al leader azzurro e al Carroccio: “Un’alleanza di centrodestra? C’è ancora molto da lavorare e la legge elettorale lo dimostra. Servirebbe una proposta comune, il Rosatellum 2.0 non dà garanzie: non risolve né il nodo dei nominati, né quello del premio di maggioranza”, ha chiarito la presidente di Fdi-An dalla kermesse romana.

È stata la stessa padrona di casa Giorgia Meloni ad aver radunato tutti i volti e gli esponenti di quella che dovrebbe essere la coalizione che si presenterà alle urne. In prima fila, per l’evento inaugurale, c’erano stesso Salvini e i forzisti Paolo Romani e Giovanni Toti, oltre a Raffaele Fitto (Direzione Italia), Stefano Parisi (Energie per l’Italia) e Gaetano Quagliariello (Idea). Quasi la fotografia di una possibile futura alleanza, legge elettorale permettendo. E non solo. Perché l’unità possibile passerà per le strategie del grande assente – seppur invitato – di Atreju: Silvio Berlusconi.

È lo storico leader di Forza Italia, ancora una volta, il grande convitato di pietra. Mai evocato dal palco, se non per qualche vignetta satirica. Chiaro che proprio le reali intenzioni del vecchio leader lascino non pochi dubbi ai potenziali alleati. Perché se è vero che la nuova versione del Rosatellum resuscita le coalizioni, è altrettanto vero che queste rischiano di trasformarsi in semplici cartelli elettorali. False, senza simbolo né leader comune. Utili (forse) per provare a vincere, ma da rinnegare quando sarà il caso di governare. Con il solito spettro delle larghe intese e degli accordi trasversali post voto all’orizzonte.

“Se Berlusconi si sta preparando all’ennesima grande coalizione dopo il voto? Non lo so, dovreste chiederlo a lui. Di certo noi non saremmo disposti all’ennesimo inciucio”, ha avvertito Meloni. Dal fronte azzurro c’è chi ha provato subito ad allontanare lo spettro: “Non credo che le larghe intese possano essere una soluzione”, ha ribattuto l’azzurro Giovanni Toti, il presidente della Liguria che da tempo ormai è il più filoleghista tra i forzisti. E pure il capogruppo al Senato Romani si è accodato al mantra del centrodestra unito.

Salvini, invece, resta per ora al gioco. Anche perché se il Rosatellum 2.0 fosse approvato dal Parlamento, la sua Lega potrebbe certo far valere la sua posizione di forza nelle regioni del Nord nei collegi maggioritari, puntando così ad aumentare il numero dei suoi eletti. “I sondaggi dicono che non basterebbe nemmeno il centrodestra unito? Non prevedevano nemmeno la Brexit. Noi abbiamo ancora cinque mesi, la Lega non è mai stata così forte. Ho l’ambizione che sia fondamentale”, ha spiegato. Convinto di poter puntare a quella leadership sulla quale tutti i potenziali alleati preferiscono al momento glissare: “Primarie, controprimarie, qualcuno le vuole, altri no. Alla peggio le facciamo alle urne, nel giorno delle elezioni”, ha avvertito Salvini. La Russa e Fratelli d’Italia invece hanno preferito rilanciare sulle consultazioni interne: “La leadership non si può decidere sul chiuso di una stanza, dobbiamo affidarla ai cittadini”. Tema rimandato, anche perché con la nuova versione del Rosatellum non ci sarebbe nemmeno la necessità di indicare il capo della coalizione (ma solo quella del capo della forza politica, ndr)

I nodi e le distanze nel centrodestra, però, restano. E oltre al fantasma di future larghe intese, c’è anche quello evocato di un possibile ritorno tra le fila di Forza Italia di Denis Verdini, l’ex sodale berlusconiano poi diventato sostenitore del governo Renzi. E ora nuovamente corteggiato da Arcore. Da Romani e Toti, però, sono arrivate smentite, almeno per ora: “Se torna Verdini in Forza Italia? Assolutamente no”, ha replicato il capogruppo azzurro al Senato. Il governatore ligure è stato ancora più netto: “Non credo che possa stare nel mio stesso partito”. Salvini non ne vuol sentire nemmeno parlare: “Chi ti ha fregato una volta, ti frega anche la seconda”. Tutto resta, però, nelle mani di Berlusconi. Il grande assente.

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