Ibrahim Metwaly, 52 anni, avvocato per i diritti umani e co-fondatore del gruppo delle “Famiglie degli scomparsi in Egitto”, è in carcere dal 12 settembre. Come già raccontato dal Fatto Quotidiano, era stato fermato il 10 settembre mentre stava per imbarcarsi su un volo diretto a Ginevra, invitato dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate e involontarie a parlare delle sparizioni in Egitto. “Abbiamo scoperto che nei due giorni in cui non si avevano sue notizie è stato torturato con l’elettroshock”, ha raccontato al Fatto Quotidiano Mohammed Lotfy, il direttore dell’Ecrf (Egyptian Commission For Rights and Freedom), l’organizzazione che assiste i parenti di Regeni in Egitto.

Dopo che le forze di sicurezza lo hanno trattenuto per due giorni in incommunicado, la Procura per la sicurezza dello Stato ha imposto 15 giorni di detenzione, poi rinnovati il 20 settembre ancora prima della scadenza, per lo svolgimento delle indagini relative alle accuse di fondazione e direzione di un gruppo illegale (ossia le “Famiglie degli scomparsi in Egitto”), cospirazione con soggetti stranieri per danneggiare la sicurezza nazionale e pubblicazione di notizie false. In seguito, la polizia ha fatto irruzione nel suo appartamento di Kafr el-Sheikh mettendolo a soqquadro.

L’8 luglio 2013 suo figlio Amr era stato vittima di sparizione forzata, uno dei primi desaparecidos dell’era al-Sisi. Da allora, lo ha cercato ovunque – nelle stazioni di polizia, nelle prigioni, negli ospedali, negli obitori – ma invano. Le forze di sicurezza egiziane sostengono di non avere alcuna informazione al riguardo.

Questa è la seconda volta che le autorità egiziane prendono di mira un esponente delle “Famiglie degli scomparsi in Egitto”: il 20 maggio era stata arrestata l’altra fondatrice del gruppo, Hanan Badr el-Din, all’interno della prigione di Qanatar, nella Grande Cairo, dove era andata a visitare un prigioniero ed ex scomparso per chiedergli se avesse notizie di suo marito, a sua volta vittima di sparizione forzata il 27 luglio 2013. Inizialmente accusata di aver introdotto nella prigione beni di contrabbando, ora le indagini riguardano l’accusa di appartenenza a un’organizzazione illegale. Dal giorno del suo arresto, la detenzione è stata rinnovata di 15 giorni in 15 giorni.

La politica del governo egiziano è di negare, sempre e comunque. Il 4 giugno 2017, il presidente della Commissione diritti umani del parlamento ha dichiarato al quotidiano Parlmany che “le sparizioni forzate non esistono, si tratta di un’espressione inventata dalla Fratellanza musulmana e da una quinta colonna”. Nel marzo 2016 il ministro dell’Interno aveva dichiarato: “Non c’è alcuna sparizione forzata in Egitto, le forze di sicurezza agiscono nel quadro della legalità”.

Il fenomeno delle sparizioni forzate in Egitto ad opera delle forze di sicurezza è ampiamente documentato da Amnesty International. Centinaia di persone – manifestanti, attivisti politici, studenti e anche minorenni – vengono arrestate e fatte sparire da agenti dello Stato egiziano, mentre le autorità negano la loro detenzione e rifiutano di fornire ogni informazione sulla loro sorte. Gli scomparsi non possono contattare le famiglie né gli avvocati e sono detenuti in incommunicado senza alcuna supervisione giudiziaria.

Gli agenti dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (il servizio segreto civile) la usano per strappare “confessioni” mediante tortura riguardo alla propria colpevolezza o a quella di altre persone. Queste “confessioni” sono usate come pretesto per prolungare la detenzione preventiva e per ottenere condanne al termine di processi. In alcuni casi, l’Agenzia per la sicurezza nazionale ha effettuato riprese delle “confessioni”, trasmettendole poi ai media locali.

Secondo le organizzazioni non governative egiziane, le sparizioni forzate sono centinaia ogni anno. Questa violazione dei diritti umani è diventata particolarmente frequente dal marzo 2015, quando il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha nominato ministro dell’Interno il generale Magdy Abd el-Ghaffar. I dati più recenti sono della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, l’organizzazione per i diritti umani che collabora con i legali della famiglia Regeni: da gennaio ad agosto 2017 almeno 165 persone sono scomparse per mano delle forze di sicurezza.

Qui l’appello mondiale lanciato da Amnesty International per il rilascio immediato di Ibrahim Metwaly

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