Damiano va a scuola alla Rustica, periferia di Roma. Segue saltellando lo stuolo di giornalisti a cui la gente qui ormai sembra abituata. È l’ombra, in particolare, di un collega e della sua macchina fotografica, una reflex grande e grossa che alla fine riesce a conquistare. Per scattare foto a sua mamma, Emanuela. Ai cani. Alla spazzatura che qui, inevitabilmente, circonda tutto. “Non è per me. Non è per noi. È per lui, per mio figlio: non può più vivere così. Ha appena cominciato la prima elementare, sai?”. Enrico, suo papà, racconta di quella lettera inviata alla sindaca di Roma, Virginia Raggi. Le chiedono un tavolo di confronto, le chiedono di andare a trovarli. “Le proponiamo, Sindaca, di venire a via Raffaele Costi per vedere con i suoi occhi quello che accade nella metropoli che amministra”, si legge nella missiva. 

L’INCENDIO

Quello che accade è balzato agli onori delle cronache a fine agosto. In questo stabile, letteralmente circondato da una discarica abusiva a cielo aperto, da quattro anni vivono un centinaio di persone. Un microcosmo fatto da tre famiglie italiane, una comunità rumena e una ventina di rifugiati, soprattutto nigeriani. I bambini, anche quelli sono una ventina in totale la più piccola ha due settimane di vita. Era il 30 agosto scorso quando i rifiuti hanno preso fuoco “l’incendio è partito vicino alla A24”, dicono. Dicono di non avere idea di come. Di come quella grande montagna di rifiuti arrivi lì ogni notte e si autoalimenti. 

Le famiglie hanno abbandonato l’edificio, hanno dormito per due notti nel parcheggio del benzinaio a due passi, lo stabile è stato messo sotto sequestro. Hanno rimosso i nastri gialli e sono rientrati. Tutto come prima, o quasi: l’odore di bruciato è ancora nell’aria, e alcuni appartamenti sono stati danneggiati dal fuoco. “La Sala Operativa Sociale di Roma ha offerto un posto in “case famiglia” a donne e bambini, soluzione non ritenuta dai noi accettabile”, si legge ancora nella lettera alla Sindaca. “Vogliamo che le nostre famiglie vengano tutelate e rimangano unite”. Perché “si deve rimanere insieme anche quando si è in crisi”, dice Enrico. E poi? “La Sala Operativa Sociale è sparita e non si è fatta più vedere”. E “alla lettera ci hanno risposto picche”, dice ancora Enrico. “O meglio, ci hanno risposto mettendo in copia l’assessorato alle politiche sociali, l’ufficio di Laura Baldassarre. Dicendo che se ne occupa lei. Aspettiamo, ma non possiamo più vivere così”.

LE RISPOSTE DEL COMUNE

“È successo che, quando gli occupanti hanno visto che potevano rientrare nella struttura, hanno deciso di ritornare dentro piuttosto che accettare le soluzioni proposte da Roma Capitale, in particolare per le fragilità”, spiegano dallo staff dell’assessorato alle Politiche Sociali a ilfattoquotidiano.it. ll punto è che, allo stato attuale, il Comune “può proporre solo queste soluzioni”. Perché “per le case popolari ci sono oltre 10mila persone in attesa, fin dal 2010, e non si può certo risolvere facendo scavalcare le graduatorie”. “Non abbiamo ancora riscontro in merito a una richiesta di visita da parte dell’assessora Laura Baldassarre o della Sindaca Virginia Raggi”, dicono ancora. Non si sa, insomma, se a Tor Cervara andrà qualcuno. Non si sa ancora se la sindaca accetterà l’invito degli occupanti e verrà qui, in mezzo a una discarica a cielo aperto, a trovarli.

La posizione del Campidoglio resta quindi quella nota fino ad oggi: “Le proposte ci sono, i posti pure e sono stati offerti”, dicono dall’assessorato. “Sono quelli che la legge ci consente di offrire: quelle sono le strutture di accoglienza e quello è il modo in cui sono strutturate. Si stanno studiando altre soluzioni e la reperibilità di altre strutture, ma non è qualcosa che cambia da un giorno all’altro. Ad oggi questo è lo stato dell’arte e la disponibilità del comune di Roma”.

Soluzioni, dunque, analoghe a quelle proposte agli sgomberati di piazza Indipendenza: inizialmente rifiutate anche in quel caso, per non dividere i nuclei famigliari – dicevano i rifugiati – e perché rientrare in un centro di accoglienza “con stanzoni comuni, lontano da tutto e tutti, col cibo orribile, senza la possibilità di cucinare” a dieci anni dall’arrivo in Italia e dopo avere avuto una casa per loro era come “ricominciare tutto daccapo”. Soluzioni infine, dopo l’ultimo sgombero di piazza Venezia, accettate da alcune mamme, dicono ancora dall’assessorato. “Madri con minori di via Curtatone stanno ora nelle case famiglia, mentre ai padri è stata trovata un’altra sistemazione, sempre nella stessa area”, rivendicano dal Campidoglio. “E in queste strutture di accoglienza c’è vitto e alloggio, ma anche supporto e servizi. Non è che se vengono rifiutate, Roma Capitale può mettere altre strutture a disposizione. Non diciamo che tutto sia roseo, né è possibile giudicare le scelte delle persone, ma tu preferisci che una madre con bambino stia in un posto con un tetto, col cibo, con mediatori culturali, assistenza sanitaria, consulenza legale, aree per bambini e il marito sistemato sempre nella stessa zona, o no?” .

Sul punto politico l’amministrazione rivendica poi l’avvio di un percorso “per fare in modo che le fragilità di qualsiasi genere, anche economiche, vengano finalmente affrontate” grazie alle delibere del 25 luglio con le linee guida per un piano di azione e il nuovo Servizio di sostegno alloggiativo temporaneo per le fragilità. “La nostra strategia per superare il disagio abitativo punta ad offrire sostegno alloggiativo a circa 6mila famiglie in tre anni”, spiegano infine dall’assessorato.

IL FRONTE UMANITARIO

Nel frattempo qui è sceso in campo un fronte umanitario fatto di piccole e grandi associazioni. Più volte alla settimana opera qui un’unità mobile di Intersos, con un progetto di protezione dei minori. Ci sono gli operatori di Nonna Roma, l’associazione Arci che si occupa di solidarietà. Ci sono i ragazzi del Baobab e c’è uno sportello legale. “In questi giorni a Roma siamo di fronte alla più grande violazione dei diritti umani degli ultimi tempi”; dice Federica Borlizzi di Alterego Fabbrica dei Diritti mentre distribuisce pannolini e vestiti. Tor Cervara, spiega, “è un quartiere particolarmente difficile, con numerose occupazioni”. Fatte spesso da italiani e stranieri che vivono insieme, come qui. “Se qualcuno trovasse lavoro o casa prima di me? Sarei contento”, sorride dietro agli occhiali Enrico. E così la pensa Vincenzo, 58 anni, cinque figli e una moglie malata di cancro. E così gli fa eco Mihai, dalla Romania. “Siamo amici qui, ci aiutiamo tra di noi. Anche con i ragazzi e le ragazze nigeriane. Vogliamo tutti solo un lavoro e vivere in condizioni dignitose per i nostri figli”. Perché i poveri, dicono, “i poveri sono tutti uguali”. 

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