È di questi giorni la notizia che il governo starebbe per modificare le condizioni di accesso all’università, nell’ambito di una serie di interventi per arginare l’emorragia di iscrizioni e il rallentamento nella crescita dei laureati in atto negli ultimi anni. Se il dato dovesse essere confermato, nella prossima legge di bilancio, sarà prevista l’esenzione totale dal pagamento delle tasse universitarie per i giovani con reddito Isee al di sotto dei 13.000 euro. Si pagherebbe solo la tassa per il sostegno al diritto allo studio da 140 euro e il relativo bollo di 16 euro. Il risparmio per queste famiglie ammonta a circa 3-500 euro l’anno a seconda dell’università.

Va detto che la misura riguarda solo gli studenti in corso, non i fuoricorso. Chi è fuoricorso oltre un certo numero di semestri e non ha conseguito un numero sufficiente di crediti formativi universitari, ricomincia a pagare le tasse d’iscrizione. Sono sufficienti 10 cfu entro il primo anno e 25 l’anno successivo.

Inoltre, si ridurrà la tassa d’iscrizione per gli studenti con reddito Isee inferiore ai 30.000 euro. Infine, i dottorandi senza borsa almeno non pagheranno più le tasse universitarie.

Una misura a lungo attesa

Si tratta di una misura a lungo attesa (non solo da me) per motivi di equità, in primo luogo, e anche per disincentivare il fuoricorsismo. L’esenzione dalle tasse universitarie per i più poveri è più efficace delle borse di studio a parziale compensazione delle tasse pagate come tutela del diritto allo studio sancito dalla costituzione all’art. 34. Da un punto di vista amministrativo, è anche più semplice da attuare.

L’esenzione dalle tasse universitarie è interrotta se si va fuori corso. Mi sembra giusto, poiché il rischio altrimenti è che i più poveri si adagino e stiano all’università con ancora meno motivazione di quanto già non facciano ora.

Proprio con la crisi, c’è stato un crollo delle iscrizioni, guarda caso proprio dei più poveri. Solo nell’anno in corso pare ci sia stata una piccola inversione di tendenza, ma è probabilmente un rimbalzo dopo il crollo degli anni scorsi. Pesano le tasse, i bassi redditi e anche le difficoltà che bisogna superare per andare avanti negli studi.

Molti non si rendono conto del perché siano crollati gli iscritti all’università. Il motivo è che guardano ai rendimenti ex post, vale a dire quelli di chi si è già laureato, ma chi si sta iscrivendo ora e ha difficoltà a superare gli esami ed acquisire il titolo, soppesa quei rendimenti ex ante per la probabilità di farcela che è davvero bassa, soprattutto in certe facoltà (ad esempio Giurisprudenza). E, siccome, al di là del talento di pochi, in media, sono proprio i più poveri a non riuscire ad andare avanti, la crisi li sta buttando inesorabilmente fuori dall’università, oltre che, in alcuni casi, dalla scuola. I più poveri hanno diversi motivi di svantaggio: un background culturale più basso e la necessità di lavorare durante gli studi. Forse bisognerebbe fare anche di più dell’esenzione dalle tasse universitarie.

Il rischio che aumentino i fuoricorso

Certo, un rischio potrebbe essere che le università favoriscano il fuoricorsismo con le bocciature per avere più tasse universitarie, come facevano in passato, ma questo è ormai scoraggiato da diversi meccanismi di incentivazione che vanno ulteriormente rafforzati. Nel 2003, la Moratti cominciò eliminando gli studenti fuoricorso dal computo del numero per i quali le università ricevono trasferimenti dallo Stato.

Altri meccanismi sono stati introdotti più di recente per penalizzare anche in termini di progressioni di carriera le università con più fuoricorso. La stessa riforma del 3+2 doveva ridurre i fuoricorso, senza riuscirci perché applicata malissimo. Non meravigli allora se il problema persiste. Non sarà eliminato neppure dalla misura in discussione, poiché occorre dell’altro anche, ma siamo nella direzione giusta.

Mi sembra che i governi negli ultimi anni stiano imparando ad agire di fino con politiche mirate. Certo si tratta di politiche che vanno poi migliorate continuamente sulla base dell’esperienza di attuazione e che possono anche risultare inefficaci perché troppo marginali, ma un paese avanzato deve essere in grado di attuare strumenti di incentivazione economica di questo genere.

Cosa altro serve?

Credo che il problema del fuoricorsismo, di cui ho scritto tanto in molti altri articoli, sia legato anche al nostro modo di fare didattica: programmi troppo vasti ed irrealizzabili, studio di tipo enciclopedico invece che formativo, esami scoglio che bloccano l’intero percorso per anni, mancanza di preparazione pratica per ridurre il carico delle nozioni nel percorso di formazione ed aumentare la motivazione a finire presto, mancanza di obbligo della frequenza dei corsi, possibilità di sostenere gli esami diverse volte. Questi sono solo alcuni esempi. Ecco, prima o poi, bisogna cambiare anche la didattica se si vuole aggredire il fuoricorsismo in modo più efficace.

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