“Non ci sono più regole, è una guerra”. Alessandro Lupo, 29 anni e originario di San Miniato, in provincia di Pisa, non riesce a riassumere in altro modo la situazione che sta vivendo sull’isola caraibica di Saint Martin, tra le aree più colpite dalla violenza dell’uragano Irma che ha devastato ogni cosa fino alle coste della Florida. Il ragazzo, che nelle Antille Francesi si è trasferito a gennaio per motivi di lavoro, vive ogni giorno nella speranza di un rimpatrio rapido e con il timore per la sua incolumità: “La notte è veramente pericoloso – racconta a Ilfattoquotidiano.it – Sentiamo spari in lontananza, ci sono bande armate dappertutto e siamo costretti a fare le ronde per proteggere le nostre case. Non vedo l’ora che qualcuno venga a prendermi”.

Alessandro aveva trovato a Saint Martin lo stile di vita che gli piaceva. Vita meno stressante e un lavoro ben pagato come bar manager in uno dei locali dell’isola. Poi, il 5 settembre, quando la sua ragazza era già tornata in Italia, è arrivato Irma, con i suoi venti a 300 chilometri orari, a spazzare via l’intera isola e a trasformare l’esperienza di Alessandro in un incubo. “Di quella sera ricordo che sono andato a chiudermi nel bagno con il mio cane – racconta – Ho messo la lavatrice davanti alla porta per bloccarla, ma nel pieno dell’uragano non è stato sufficiente. Ricordo i rumori di oggetti che si frantumavano fuori dalla stanza e la paura a causa dell’acqua che entrava, sembrava la fine del mondo. Ho passato una notte a tenere ferma la porta e, contemporaneamente, raccogliere l’acqua che entrava e buttarla nel lavandino”.

Passato l’uragano, Alessandro ha due priorità: trovare il modo di essere rimpatriato prima che la situazione degeneri e sopravvivere sull’isola fino a quando non riuscirà a imbarcarsi per l’Italia. “Abito in un condominio – dice – e con tutti i vicini di casa ci siamo mobilitati per dare una mano agli abitanti della nostra zona nel tentativo di salvare il salvabile. Fortunatamente ci siamo organizzati in previsione dell’uragano: usiamo dei generatori che ci garantiscono qualche ora di luce al giorno e abbiamo scorte di cibo e acqua a sufficienza per sopravvivere qualche altro giorno”.

La paura, però, viene dopo il tramonto, quando, con l’aiuto del buio, gruppi armati si muovono sull’isola per saccheggiare più case e attività possibili. “Ci siamo organizzati con delle ronde armate per proteggere le nostre case – continua – La notte è veramente pericoloso, sentiamo continuamente spari in lontananza. Adesso temo per la mia incolumità, ci sono bande dappertutto”.

Il problema è che l’evacuazione dei civili procede a rilento: l’aeroporto Grand-Case, nella parte settentrionale dell’isola, quella dove vive Alessandro, organizza solo pochi voli d’evacuazione al giorno e riuscire a imbarcarsi è un’impresa. “Ho cercato di lasciare il Paese andando in autostop in aeroporto per due volte, ma sono sempre stato respinto – dice – Ho provato ad acquistare un biglietto, ma per il momento è tutto sospeso”. L’ultimo tentativo, quindi, la famiglia di Alessandro lo ha fatto mettendosi in contatto con la Farnesina: “Ci hanno detto di aspettare e che intanto mi hanno registrato nei loro database tra le persone in attesa d’evacuazione – conclude – Hanno voluto sapere il mio indirizzo e mi hanno detto di rimanere il più possibile chiuso in casa perché manderanno presto qualcuno a prendermi, autorità francesi o olandesi. Credo che questa sia la mia ultima opzione per andarmene da qui”.

Twitter: @GianniRosini

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