C’è il dipendente di un consorzio che ha denunciato la gestione padronale del suo posto di lavoro. Lo ha fatto prima alle autorità competenti, poi all’Anac. Racconta che da allora è stato sanzionato per qualsiasi errore, e di avere infine perso la testa, tirato un pugno e quindi licenziato. Ora vive con il sussidio di disoccupazione ed è accusato di diffamazione dall’ente. C’è chi ha denunciato la ristrutturazione di una scuola: la procura ha aperto un’indagine, l’azienda che ha vinto l’appalto non aveva tutte le carte in regola per i controlli antimafia. Ma lui, intanto, ha perso il lavoro e aspetta la lentezza della giustizia del lavoro. C’è anche il vigile, che fa rimuovere una macchina in divieto di sosta, alla fermata dell’autobus. Peccato fosse del questore. Risultato? Verbale stracciato. Ma lui e i suoi colleghi non ci stanno, fanno uscire la notizia sui giornali. Lavorano ancora oggi: ma demansionati e mobbizzati.

Sono storie di persone che hanno denunciato casi di corruzione e malaffare di cui sono testimoni sul posto di lavoro. E che per questo, non esistendo in Italia una legge a tutela di chi denuncia, rischiano di perdere il posto, di essere minacciati, di passare anni in tribunale. “E loro molto più che i corrotti che denunciano”, spiega Davide Del Monte di Transparency International Italia. Insieme a Riparte il Futuro, hanno portato in piazza, davanti al Pantheon a Roma, una “gabbia” in plexiglass dove è stato riprodotto un ufficio qualsiasi. All’interno, “imprigionato il whistleblower, isolato dai colleghi e dalla società e dalla mancanza di una norma che lo tuteli”, racconta Federico Anghelé di Riparte il futuro. “Il whistleblower è uno che ci mette la faccia”, dice Raffaele Cantone, presidente Anac, intervenuto in piazza. “Per questo riteniamo che il parlamento debba approvare in via definitiva questa legge già approvata alla Camera”.

È infatti la volta del Senato: il disegno di legge, già approvato alla Camera, è ora a Palazzo Madama. Transparency e Riparte il futuro hanno consegnato stamane le quasi 60mila firme della petizione #vocidigiustizia al presidente Pietro Grasso. “Abbiamo chiesto di calendarizzarlo, ma non abbiamo avuto ancora notizie”, spiega dal Movimento 5 Stelle Vito Crimi. “Vogliamo che venga approvata in questa legislatura ed è per questo che facciamo un gesto di collaborazione”, aggiunge un altro grillino, Giovanni Endrizzi: “Annunciamo di ritirare tutti gli emendamenti al ddl. Ora il Pd non ha più scuse”.

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