Molti giovani di oggi avranno una pensione bassa, a causa di carriere discontinue e redditi incerti. La soluzione potrebbe essere l’introduzione di uno sgravio fiscale per le famiglie disposte a versare i contributi per i figli inoccupati e non laureati.

di Raffaele Lungarella (Fonte: lavoce.info)

Un futuro di pensioni basse

I giovani nati negli anni Ottanta e Novanta trovano una sistemazione lavorativa in età mediamente più avanzata di quelli della generazione precedente. In più, la loro carriera lavorativa sarà, verosimilmente, più traballante e l’andamento dei loro salari non avrà una progressione certa nel tempo. Ci saranno inevitabili conseguenze negative anche sul piano previdenziale. Per una parte non trascurabile di loro è probabile che, a una condizione lavorativa di precariato e di redditi bassi e discontinui, farà seguito una vita da pensionati con vitalizi proporzionati ai non abbondanti contributi versati, insufficienti a garantire un accettabile tenore di vita.

Il montante contributivo individuale dipende dall’ammontare dei versamenti periodici e dal numero di anni per i quali lo si è fatto. Tanto più tardi un giovane inizia ad avere una posizione previdenziale, tanto più tardi potrà ritirarsi dal lavoro, senza aspettare la pensione di vecchiaia; meno contributi versa e più basso sarà l’importo della pensione a cui avrà diritto.

Per migliorare le sue prospettive da pensionato occorrerebbe dargli la possibilità di anticipare l’iscrizione a una gestione previdenziale obbligatoria già prima di trovare un impiego.

Dai padri ai figli

Un giovane inoccupato che non percepisce alcun reddito non ha, ovviamente, la possibilità di versare alcun contributo previdenziale. Ma potrebbero essere forse disposti a versarlo i suoi genitori, almeno quelli con un buon reddito, se fosse data loro una “spinta gentile”. Non sarebbe una novità assoluta, ma l’estensione della possibilità offerta ai laureati inoccupati.

Un giovane laureato, non ancora iscritto ad alcuna gestione previdenziale obbligatoria, ha infatti la possibilità di versare all’Inps i contributi previdenziali relativi a un numero massimo di anni pari a quello della durata legale del corso di laurea che ha frequentato e dell’eventuale corso di specializzazione universitaria se almeno biennale.

La somma da versare all’Inps per ogni anno da riscattare è pari al 33 per cento del reddito minimo preso a riferimento per il calcolo del contributo dovuto dagli artigiani e dai commercianti, che per il 2017 è di 15.548 euro. La spesa complessiva da sostenere per il riscatto dei cinque anni di una laurea magistrale è pertanto di 25.645 euro (15.548×0,33×5), che può essere diluita in 120 rate mensili, senza interesse. Il pagamento rateale comporta il versamento di 2.565 euro all’anno per un decennio, cioè 214 euro al mese.

Se il laureato fosse in grado di versare all’Inps questa cifra, potrebbe portarne il 19 per cento in detrazione dall’Irpef, ma essendo inoccupato privo di reddito difficilmente potrà avvalersi dello sgravio. Lo stesso beneficio fiscale è riconosciuto anche al genitore (a entrambi o a un altro familiare), di cui il laureato inoccupato è fiscalmente a carico, che versa all’Inps i contribuiti dovuti. Al netto della detrazione, il costo effettivo per la famiglia è di 173 euro ogni mese, circa 2.075 l’anno. Le stesse condizioni di cui beneficiano i padri dei laureati inoccupati potrebbero essere applicate a quelli dei giovani inoccupati senza laurea, per iniziare a pagare le pensioni dei loro figli.

Tra costo per l’erario ed equità

L’applicazione di una simile ipotesi sarebbe di beneficio per il bilancio dell’Inps, che per ogni nuovo giovane preso in carico incasserebbe 2.565 euro per dieci anni, ma costosa per le casse statali, che accuserebbero un minor gettito Irpef di 485 euro per lo stesso numero di anni. Il costo complessivo per lo stato dipenderebbe dai criteri di selezione dei giovani e dal numero massimo di anni che sarebbe consentito “riscattare”. Potrebbero beneficiarne, per esempio, i giovani intorno ai 24-26 anni (all’incirca l’età della laurea), per un numero massimo di cinque anni di inoccupazione. A parità del numero dei beneficiari, questa soluzione sarebbe comunque meno onerosa per la finanza pubblica dell’ipotesi di una pensione di garanzia per i giovani con la fiscalizzazione dei contributi.

Ad ogni modo, l’applicazione dello stesso regime fiscale ai contributi versati dai genitori di tutti i giovani inoccupati soddisferebbe anche un criterio di equità: perché negare alle famiglie di giovani inoccupati senza laurea uno sconto sull’Irpef di cui possono invece beneficiare quelle dei laureati, che pure hanno potuto frequentare l’università pagando tasse di iscrizione che coprono solo una quota minoritario dei costi, sostenuti con la fiscalità generale. E negare questa possibilità sarebbe ancora più stridente se dovesse andare in porto l’ipotesi del riscatto gratuito della laurea.

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