Cominciamo dalle scuse. Quelle che tutti dobbiamo a chi oggi ha meno di 35 anni. Negli ultimi venti, noi che siamo più vecchi, i giovani li abbiamo traditi e ingannati tre volte. Prima, nell’epoca d’oro delle televisioni, dell’Italia dei ristoranti pieni, del nero che salva l’economia, della lotta continua tra berlusconiani e anti-berlusconiani, lo abbiamo fatto contrabbandando come vincente il modello del tronista e della letterina. Abbiamo lasciato che, attraverso il piccolo schermo e i comportamenti delle classi dirigenti, nelle case e nelle teste delle persone si facesse spazio un’idea falsa e sbagliata: il successo è lì, a portata di mano. Per prendertelo non devi sapere cantare, ballare o suonare. Non devi nemmeno leggere, aver studiato, faticato o coltivato il tuo talento. Per mordere la vita, intanto, basta bucare il video. Basta apparire, sorridere, essere furbo e frequentare la gente giusta.

Poi, quando molti giovani avevano cominciato a comprendere l’inganno, abbiamo usato il manganello. Chi, dopo essersi ritrovato a Porto Alegre o a Seattle per ragionare sul futuro, scendeva in piazza contro i rischi della globalizzazione veniva selvaggiamente picchiato. E a dare l’ordine, o a chiudere gli occhi, erano proprio gli stessi che oggi ci raccontano che la globalizzazione è un male. Che denunciano, spesso, solo per mascherare il proprio fallimento, i guasti della finanza senza regole, dell’iperliberismo selvaggio e del mercato senza freni.
Infine, l’ultimo tradimento. Forse il peggiore. Riassumibile in una parola giusta, per Fq Millennium, ma a lungo violentata: meritocrazia. Per dieci anni, dall’allarme bamboccioni in poi (Padoa Schioppa 2008), abbiamo giurato che avremmo premiato il merito. Studia, impara le lingue, prenditi una laurea e poi pure il dottorato, diventa flessibile, fai l’Erasmus e stai certo, figlio mio, che il mondo sarà tuo.

Così oggi, anche qui, vediamo entrare in redazione frotte di stagisti (che a differenza di altri abbiamo sempre pagato). Sono tutti più preparati di quanto non fossimo noi agli esordi. Parlano inglese, francese, spagnolo, russo o tedesco. Dopo l’università hanno superato dure selezioni per essere ammessi nelle scuole di giornalismo. Spesso hanno pure frequentato corsi specialistici. Sanno scrivere, fotografare, riprendere video e montarli. Sono disposti a lavorare giorno e notte.

Ma se un tempo chi veniva ammesso in un giornale (non come stagista, ma come abusivo) aveva la ragionevole certezza che prima o poi un contratto lo avrebbe avuto, ora solo uno su dieci ce la fa. Tu vorresti assumerne di più, perché tra loro in molti andrebbero premiati, poi guardi i bilanci, la crisi dell’editoria e della pubblicità, e al massimo dopo quattro mesi offri una collaborazione pagata a pezzo. Eccolo il grande inganno. La truffa falso-meritocratica di una società di vecchi.

Incapaci di garantire diritti sociali (reali sussidi di disoccupazione, minimi salariali orari, affitti agevolati per giovani e tanto altro) ci limitiamo a ratificare per legge , e nemmeno sempre o completamente, quelli civili: le unioni gay, forse un giorno la legalizzazione delle droghe leggere, la parità di genere. Prendiamo insomma atto di quello che tra i giovani è già normalità e abbiamo il coraggio di spacciare le nostre riforme come conquista.
Anche per questo Fq Millennium ha deciso di far raccontare la generazione tradita da chi il tradimento lo ha subito: da tanti bravi colleghi under trenta. Leggete cosa scrivono. E se avete i capelli grigi sentitevi in colpa.

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