Non c’è solo Atac a far tremare l’amministrazione di Virginia Raggi. Nei conti del comune di Roma ci sono ben 1,2 miliardi di crediti vantati dal Campidoglio nei confronti delle partecipate. La cifra comprende anche gli oltre 400 milioni dovuti dalla municipalizzata del trasporto pubblico il cui concordato preventivo, secondo l’ex assessore Andrea Mazzillo, potrebbe spingere la Capitale verso il dissesto per effetto della svalutazione dell’intero credito dell’Atac. Ma c’è di più: nei conti dell’amministrazione capitolina c’è poi anche un altro miliardo e mezzo di euro di residui passivi, cioè debiti del Campidoglio verso le sue controllate, come riferisce l’allegato al rendiconto 2016 del comune. In totale quindi nel bilancio della Capitale c’è una partita incrociata da circa 2,7 miliardi fra crediti e debiti con le controllate che raramente sono un esempio di buona gestione e trasparenza contabile.

Quei 250 milioni di crediti non riconosciuti – Come se non bastasse poi le poste iscritte nel resoconto del comune di Roma, che entro fine settembre deve presentare il suo primo bilancio consolidato, non sempre coincidono con quelle registrate nei bilanci delle partecipate. Con il risultato che il Campidoglio ha 250 milioni di crediti non riconosciuti verso le controllate. Non a caso, a scanso di equivoci, l’Organismo di revisione economica e finanziaria del Comune ha evidenziato come “nonostante l’avvenuto riconoscimento di ingenti importi riguardanti debiti fuori bilancio, il fondo a copertura dei rischi per passività potenziali non appare ancora sufficiente e necessiterà di ulteriori integrazioni”, come si legge nella relazione al bilancio previsionale 2017-2019 protocollata il 23 gennaio 2017. Inoltre, dopo aver constatato i ritardi nella riscossione di multe e tasse, ha raccomandato all’amministrazione Raggi “di reperire ulteriori spazi di finanza pubblica sia nell’ambito della contrattazione con il governo centrale da effettuarsi entro il 31 maggio, sia attraverso la opportuna definizione dei rapporti con la gestione commissariale” a cui sono affidati quasi 12 miliardi di passivo pregresso. Segno insomma che non solo l’Atac, ma l’intero tema delle partite incrociate dell’amministrazione con le partecipate preoccupa non poco. Lo sanno bene i predecessori della Raggi, Gianni Alemanno e Ignazio Marino, ricorsi in passato solo a soluzioni tampone per evitare dolorosi piani di rientro.

Neanche la Corte dei Conti ne viene a capo – Il tema è così delicato che persino la magistratura contabile fa fatica ad entrarci, come testimonia il fatto che il più recente controllo della Corte dei Conti sul rendiconto della Capitale risale a ben sette anni fa. In ordine temporale, l’ultimo tentativo di far chiarezza sulla questione risale al gennaio 2014 quando intervenne la Ragioneria generale del Mef su richiesta dell’ex sindaco Marino: dall’analisi venne fuori che i crediti e i debiti iscritti a bilancio nei conti del Comune non coincidevano con quelli nei conti delle partecipate e che la gestione di Gianni Alemanno aveva provocato un disavanzo da circa 500 milioni. Un gran pasticcio i cui effetti sono tuttora evidenti nell’allegato al rendiconto 2016 (dati 2015) in cui risultano le posizioni creditorie e debitorie delle controllate del Comune. Dal documento emerge come le due spine nel fianco dell’amministrazione siano Ama e Atac. La prima vanta crediti verso il Campidoglio per 258 milioni ed è debitrice per almeno 284 milioni (488 milioni secondo il bilancio del Comune). La seconda, invece, deve avere dal Comune 267 milioni e deve al Campidoglio 477 milioni. Ed è stata proprio l’Atac a far scattare l’allarme sui conti della Capitale, che rischia di perdere in toto o in parte i crediti vantati verso la controllata del trasporto pubblico.

Il Comune ha accettato che Atac ripaghi il debito dal 2019. Ora l’azienda va in concordato – Secondo quanto riferito dal Messaggero il 25 agosto, il Comune vanta verso la municipalizzata dei trasporti un vecchio credito (2005-2011) dovuto al fatto che, a causa dei ritardi nei pagamenti della Regione Lazio, il Comune anticipò alla municipalizzata somme mai più rientrate. In compenso sono rimaste iscritte nel bilancio della Capitale come crediti che difficilmente saranno interamente recuperabili in caso di crac dell’Atac. Il motivo? Lo scorso ottobre il Comune, nell’ambito dell’approvazione del piano di rientro del debito Atac, ha accettato di essere rimborsato solo dopo gli istituti di credito in 240 rate da pagare fra il 2019 e il 2038 senza interessi. Di qui la possibilità, con il concordato preventivo, che il Campidoglio diventi l’ultimo creditore ad essere soddisfatto e magari non riesca più a recuperare neanche un euro degli oltre 400 milioni di crediti vantati verso la controllata. Un rischio che il Comune non ha adeguatamente coperto nei suoi bilanci.

Il dissesto del Comune? Impossibile: danneggerebbe immagine (e rating) di tutto il Paese – La situazione è insomma assai ingarbugliata. Lo era del resto anche prima dell’accordo della Raggi con le banche, come ben sapeva l’ex sindaco Gianni Alemanno che pensò di venir fuori dall’intreccio Campidoglio-Atac girando il credito vantato sulla municipalizzata alla gestione commissariale, la bad bank che si occupa di smaltire i 12 miliardi di debito cumulati negli anni dal Comune di Roma. Uscito dalla porta di Alemanno, il vecchio credito è però rientrato dalla finestra di Ignazio Marino che lo ha chiesto indietro per “sistemare” il bilancio della sua gestione capitolina. Una storia antica che ora rischia di scoppiare nelle mani della Raggi, intenzionata a ristrutturare l’Atac che, secondo l’ex assessore Mazzillo, potrebbe spingere l’amministrazione capitolina verso il dissesto, cioè ad una procedura straordinaria di rientro con un piano che viene vidimato dal Ministero dell’Interno e validato dalla Corte dei Conti. Secondo una fonte interna alla magistratura contabile, si tratta però di un’opzione più teorica che pratica perché avrebbe un impatto sulla credibilità dell’intero Paese che, oltre al danno d’immagine a livello internazionale, pagherebbe lo scotto in termini di maggiori tassi di interesse per il debito pubblico di ogni genere e grado.

Tutti i salvataggi della Capitale – Non è un caso del resto che in passato la politica abbia optato per risolvere senza grandi clamori le criticità del bilancio di Roma Capitale. Nel 2008, per coprire il buco ereditato da Veltroni, l’allora sindaco Alemanno chiese e ottenne dal governo di Silvio Berlusconi la gestione commissariale straordinaria separando buona parte del vecchio debito della Capitale (22 miliardi, oggi scesi a 12). L’obiettivo era consentire al Campidoglio di ripartire da zero smaltendo intanto la pesante eredità del passato grazie a un contributo pubblico annuo di 500 milioni, poi riconfermato in vario modo da tutti i governi successivi. Purtroppo però la gestione Alemanno non fu così oculata. Secondo quanto riferì poi la relazione sulla verifica amministrativo-contabile a Roma Capitale chiesta da Marino al Mef, nel periodo 2009-2012 Alemanno creò un disavanzo da quasi 500 milioni arrivando a triplicare i trasferimenti alle municipalizzate. La falla venne tappata da Marino con i crediti vantati verso l’Atac restituiti al Campidoglio dalla gestione straordinaria del debito di Massimo Varazzani e con un aumento dell’Irpef nel decreto Salva-Roma siglato dal tandem Renzi-Letta. Tutto questo non fu sufficiente a sistemare i conti della Capitale che richiedono innanzitutto pulizia e trasparenza nei rapporti con le partecipate. Di qui la volontà della Raggi di entrare nel vivo della ristrutturazione Atac attraverso un concordato preventivo in continuità con cifre e tempi d’incasso tutti da definire per i creditori. Ma l’operazione che la Raggi ha affidato al nuovo assessore Gianni Lemmetti rischia di essere decisamente dolorosa per l’amministrazione capitolina senza l’appoggio del governo e della gestione commissariale.

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