Negli scorsi mesi è stato ribattezzato in via informale come “lo scambio di automobili per formaggi”, ma si tratta di una svolta dal peso specifico ben più rilevante nel panorama del commercio internazionale. È il Jefta, Japan-Eu Free Trade Agreement, trattato che Unione Europea e Giappone sono intenzionate a condurre in porto entro il 2017 dopo aver annunciato un’intesa di massima (agreement in principle) lo scorso 6 luglio. Ma gli scogli non sono stati ancora tutti superati. Protezione degli investimenti e cooperazione normativa sono due partite che restano aperte, dopo che Greenpeace Olanda ha pubblicato leak sui negoziati stando ai quali mancano impegni concreti su ambiente, sviluppo sostenibile e lavoroIntanto Theresa May a fine agosto è volata a Tokyo per rassicurare gli investitori giapponesi nel Regno Unito e provare a strappare un accordo bilaterale sulla falsariga di quello auspicato con l’Unione.

Il Giappone è il secondo partner commerciale dell’Unione Europea in Asia, dopo la Cina, e il sesto nel mondo: secondo i dati forniti dalla Commissione Europea, nel 2016 le esportazioni di beni Ue in Giappone sono state di 58 miliardi di euro, e le importazioni sono ammontate a 66 miliardi, mentre per quanto riguarda i servizi i dati si riferiscono al 2015 e indicano 28 miliardi di euro di export e 16 di import. Gli scambi commerciali riguardano principalmente autoveicoli, macchinari, strumenti medici, prodotti chimici e farmaceutici, beni alimentari. L’accordo prevede l’eliminazione dei dazi doganali e delle barriere non tariffarie tra le due parti. Il Giappone eliminerà il 97% dei dazi sulle sue importazioni dalla Ue quando l’accordo sarà pienamente implementato, mentre quelli restanti saranno soggetti a una parziale liberalizzazione attraverso quote o agevolazioni, in particolare per alcuni prodotti agricoli e caseari.

L’Unione Europea eliminerà invece quasi il 100% dei dazi, in virtù dell’impegno preso dal Giappone per superare le barriere non tariffarie sulle importazioni dall’Europa, soprattutto per quanto riguarda gli standard internazionali del settore automobilistico, dei prodotti farmaceutici e degli additivi alimentari. La liberalizzazione dei servizi comprenderà invece soprattutto poste e corrieri, telecomunicazioni, trasporti marittimi e finanza, mentre un capitolo a parte riguarda il public procurement, ovvero gli appalti pubblici. Oltre a facilitazioni in termini di accesso al mercato, l’accordo permetterà alle aziende europee di partecipare alle stesse condizioni delle società nipponiche alle gare pubbliche nelle cosiddette “Japanese core cities”, 48 città con una popolazione compresa tra i 300mila e i 700mila abitanti.

L’accordo di massima raggiunto a luglio necessita di una finalizzazione su diversi capitoli e un’intesa deve ancora essere raggiunta su alcune questioni centrali: la cooperazione normativa, ovvero il mutuo riconoscimento degli standard regolamentari, è una di queste, insieme al meccanismo Isds (Investor-state dispute settlement), una procedura di arbitrato internazionale per le controversie tra Stati e aziende, che darebbe agli investitori lo speciale diritto di ricorrere contro leggi e regolamenti che potrebbero mettere a rischio potenziali investimenti e profitti attesi. Bruxelles sponsorizza una Corte internazionale degli investimenti, già al centro del poi fallito Ttip, mentre Tokyo preferirebbe il sistema tradizionale. L’Unione Europea, inoltre, vorrebbe estendere a 70 anni la tutela del diritto d’autore anche in Giappone, mentre si sta ancora lavorando a un’intesa sulla libera circolazione dei dati e delle informazioni. Il nuovo regolamento europeo sulla privacy, in vigore dal prossimo anno, e il recentissimo Japanese Act on the Protection of Personal Information, approvato lo scorso 30 maggio, hanno comunque avvicinato gli orientamenti delle due parti.

Secondo Greenpeace Olanda, che è entrata in possesso dei leak delle negoziazioni e a fine giugno ne ha pubblicato circa 200 pagine, le disposizioni al momento presenti nell’accordo Ue-Giappone sulle “corti speciali” per la tutela degli investimenti sono addirittura più deboli di quelle già “estremamente preoccupanti” previste dall’accordo commerciale con il Canada, mancando di impegni concreti e vincolanti per aspetti legati ad ambiente, sviluppo sostenibile e lavoro. I documenti sul Jefta resi noti da Greenpeace sono in prevalenza datati tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, appena precedenti al diciottesimo round di negoziati. I negoziatori sperano di concludere il nuovo accordo nelle prossime settimane. Se andrà in porto, l’accordo commerciale con il Giappone potrebbe essere il più grande mai sottoscritto dall’Ue e coprire un volume commerciale pari a circa il doppio del Ceta, l’accordo chiuso con il Canada e che entrerà in vigore provvisoriamente dal prossimo 21 settembre.

La firma finale sul Jefta, invece, sarà seguita dalla decisione da parte della Commissione Europea sulla tipologia di accordo da ratificare. Vale a dire che si dovrà scegliere tra un accordo Eu-only, che coprirebbe le aree di policy che attengono esclusivamente all’Unione, o un accordo misto, che coprirebbe invece aree di competenza non solo dell’Unione ma anche dei singoli Stati membri. Nel primo caso sarà sufficiente un’approvazione da parte dei governi e del Parlamento Europeo, mentre nel secondo caso dovranno essere coinvolte anche tutte le assemblee parlamentari nazionali. Al momento il Regno Unito formalmente rientra nel trattato commerciale, posto che entrerà in vigore prima del termine della procedura collegata all’ormai famoso articolo 50 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Ma secondo alcune voci di corridoio l’accordo Ue-Giappone non includerà disposizioni specifiche riguardanti l’attuale situazione londinese, che invece potrebbe vedere uno sviluppo parallelo.

Theresa May e il suo governo si stanno infatti muovendo in autonomia, con l’inquilina di Downing Street che a fine agosto è volata a Tokyo in compagnia di 15 personalità centrali del business britannico, tra cui Andy Palmer, amministratore delegato di Aston Martin, e Carolyn Fairbairn, direttore generale della Confederation of British Industry, la Confindustria d’oltremanica, con l’obiettivo di non perdere il treno merci nipponico. Un’impresa non semplice per il primo ministro britannico: prima di aprire nuovi tavoli di confronto, Shinzo Abe è intenzionato a chiudere il trattato con l’Europa, su cui anche l’ex premier David Cameron aveva investito molto, stimando un guadagno per l’economia inglese di 5 miliardi di sterline all’anno. Ma qualcosa la May è comunque riuscita a portarla a casa, ovvero una dichiarazione congiunta d’intenti per lavorare rapidamente, dopo l’ufficializzazione della Brexit, a una partnership economica tra i due Paesi. La strategia di Londra, non solo con il Giappone, è di replicare per il Regno Unito i trattati commerciali stipulati dalla Ue. “Non la vedo semplice”, ha dichiarato a Bloomberg l’ex ambasciatore Uk in Giappone, David Warren, sottolineando le perplessità dei suoi interlocutori. “I giapponesi non capiscono perché stiamo uscendo dall’Unione Europea, e sono troppo rispettosi per dirlo pubblicamente”. Con l’acquisto della telco britannica Arm Holdings da parte del gruppo giapponese Softbank e piani di espansione di Nissan e Toyota nel Regno Unito, Tokyo cerca rassicurazioni. Che includono anche un deciso supporto di Londra contro la minaccia militare della Corea del Nord.

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