“Ti faccio abortire, negra di merda”, “Brutto nero mongoloide, la prossima partita la vedi col cannocchiale”. È la realtà che si trova dietro la discussione sullo ius soli, le questioni dell’immigrazione e dell’accoglienza. Dietro la cronaca di questi giorni. Come l’assalto a un centro che ospita i migranti, come al quartiere Tiburtino, a Roma, finito con un eritreo accoltellato alla schiena e una donna che aveva denunciato di essere stata sequestrata e invece è lei indagata per lesioni aggravate. Oppure gli stupri di Rimini, la cui storia è finita con gli arresti, ma che scatenano ancora proteste sui social e non. Dal Nord al Sud, frasi indicibili e atteggiamenti razzisti fanno il giro di facebook e alimentano la tensione nell’opinione pubblica. E’ così, giorno dopo giorno, che rischia di diventare accettabile quello che accettabile non è stato finora: le discriminazioni nella ricerca di un posto di lavoro, le aggressioni su un autobus, gli insulti su un campo di calcio. Fa scandalo una violenza di uno straniero, ne fa meno una subita da uno straniero.

Nulla è cambiato nulla rispetto alle offese razziste subìte da Cécile Kyenge durante il periodo da ministro per l’Integrazione, 4 anni fa: “Scimmia congolese“, “prostituta”, le fu detto tra le altre cose, fino all’insulto dal livello più alto, quando il senatore della Lega Roberto Calderoli la paragonò a un orango. Finì sotto inchiesta ma il processo fu bloccato per metà perché secondo il Senato quella roba non era razzismo: il voto determinante fu anche quello del Partito democratico.

E’, in certi casi, come se il tempo non fosse mai passato. L’ultima “novità” sono i manifesti della propaganda fascista di Forza Nuova, con le immagini del ventennio pubblicati sui social e affissi sui muri delle città. “I nuovi barbari sono peggiori di quelli del ’43/’45, oggi come allora fiancheggiati dai traditori della Patria” si trova scritto su un’immagine in cui si vede un uomo nero che aggredisce e tenta di spogliare una donna bianca. “Difendila dai nuovi invasori potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia” si legge su un altro poster che riprende un manifesto della Repubblica sociale italiana.

Dalle parole ai fatti
Le parole, ma più spesso i fatti. Di violenza. A metà agosto a Rimini una coppia è stata arrestata dopo che su un bus ha rapinato, insultato e spinto a terra una senegalese di 39 anni al sesto mese di gravidanza, regolare in Italia dove vive da anni con la famiglia e lavora come cameriera. “Ti faccio abortire negra di merda”, le hanno gridato, “vai via negretta di merda, io ti ammazzo”. Poi i calci e i pugni. A luglio, invece, un dipendente della Contram, l’azienda di trasporti di Camerino (in provincia di Macerata), è stato denunciato con l’accusa di aver aggredito un giovane studente-lavoratore del Camerun, Martin Narcisse Lekemo, colpendolo poi con una testata in pieno volto. “Africa, torna a casa tua – gli avrebbe detto – Voi non dovete stare qua, non avete mai il biglietto voi negri, tornatevene a casa vostra!”. Pochi giorni fa l’aggressione a un venditore ambulante marocchino, a Torino. Stava consegnando dei fiori e un uomo l’ha insultato e gli ha spruzzato contro dello spray urticante.

Poi c’è l’oceano dei social network, dove nuotano anche i pescecani. È finito in Procura un esposto del Comitato per gli immigrati e contro ogni forma di discriminazione che ha denunciato un post contro i migranti che in Liguria chiedono un alloggio popolare. Il commento era apparso sulla pagina Facebook della consigliera regionale della Lega Nord Stefania Pucciarelli: “E poi vogliono la casa popolare. Un forno gli darei”. La consigliera ha risposto con un like.

Basta poi che l’episodio riguardi un politico o un personaggio noto che la storia si diffonde sul web e sui media. Don Massimo Biancalani, un sacerdote di Pistoia, ha ricevuto una valanga di insulti per aver postato le foto di una giornata di svago con alcuni profughi nigeriani, gambiani e senegalesi come premio per aver lavorato come cuochi e camerieri per una onlus. Agli ospiti sono state anche tagliate le gomme delle biciclette. Ma ad alimentare la discussione era stato senza dubbio un tweet di Matteo Salvini, leader della Lega Nord, che ha scatenato i suoi follower: “Fare bene il prete vuol dire portare a spasso i negri?”, “Non capisco perché certa gente non si trasferisce in Africa, ma rompe i coglioni in Italia”.

Lo sfogatoio su internet
I social network sono diventati valvola di sfogo: una storia nota. Non si salvano neanche i personaggi noti, come gli sportivi. Juan Jesus, difensore della Roma, dopo la partita con l’Inter, ha potuto leggere il commento di un giovane utente su Instagram: “Brutto negro mongoloide, la prossima partita la vedi col cannocchiale. Per fermare Perisic ti ci voleva l’autovelox”. Il calciatore ha risposto con un post (poi cancellato): “Vorrei lasciar perdere ma non posso. In un mondo pieno di preconcetti e guerre, se posso fare qualcosa per cambiare il futuro lo farò. Perché ho dei figli e non voglio un futuro con persone così brutte insieme a loro. Basta. Il futuro è in buone mani… Denuncia per i tuoi in arrivo, caro mio”.

Francesco Ouattara e Abouba Kone, nati a Treviso, rappresenteranno invece l’Italia ai Mondiali di karate. Insieme a Caterina Dozzo, sono i tre trevigiani convocati in Nazionale dopo una selezione che ha coinvolto 500 karateka. La notizia pubblicata da un quotidiano online e ripresa dai social ha scatenato anche commenti come questi: “Se quelli sono trevigiani, io sono un eschimese”, “Trevigiani o conghi?”, “Io di trevigiana ne vedo una”.

Virale è diventato però anche il post dell’attrice Lucy Lawless, protagonista di Xena, il telefilm: era in vacanza a Lucca quando ha dovuto fermare sei giovani che stavano aggredendo un ragazzo nero. La Lawless ha raccontato tra l’altro che uno dei ragazzi ha imitato il verso dello scimpanzé, battendo le mani sopra la sua testa e gridando ‘Gabon!’. Si sono fermati solo dopo che lei ha urlato: “E’ veramente orribile!”.

Il lavoro dà dignità all’uomo
D’altro canto questa è l’estate iniziata a giugno con la protesta per il cartello “Personale 100% italiano” esposto all’ingresso della trattoria di Giorgio Nardin a Mogliano, in provincia di Treviso. Mentre la stagione si è conclusa con la recensione lasciata su TripAdvisor da un cliente del ristorante El Brite de Larieto di Cortina d’Ampezzo che non aveva gradito di essere servito al tavolo da una cameriera di colore in costume tirolese. “È brava e siamo felici che lavori con noi” hanno ribattuto i titolari. Poi si è scoperto che quel cliente fa anche il politico: si chiama Fabio Cenerini ed è capogruppo della lista Toti in consiglio comunale a La Spezia. C’è chi un’occupazione la cerca anche con facebook. Ma il risultato per qualcuno è che non c’è nemmeno la possibilità del colloquio. E’ successo a Chiara, 18enne di Chivasso (in provincia di Torino), che ha postato un appello nel quale chiedeva lavoro. Un negoziante di dischi l’ha contattata invitandola a inviargli il curriculum, ma un’ora dopo le ha riscritto: “Scusa, ma ho guardato bene il tuo profilo. Non credo che tu sia la persona che sto cercando, mi spiace”. Il problema? La ragazza è fidanzata con un ragazzo nigeriano, così come si intuisce dalle foto sul suo profilo social. E il commerciante non ha nascosto il motivo della decisione: “Per me puoi uscire anche con il mostro di Firenze, ma permettimi di non affidare la cassa di un negozio a chi divide la sua vita con un africano”. Negli stessi giorni a Cervia, sulla Riviera Romagnola, il titolare di un hotel ha respinto la proposta di lavoro di Paolo, un giovane milanese. “Mi dispiace Paolo – si leggeva nell’sms di risposta – ma non posso mettere ragazzi di colore in sala. Qui in Romagna la gente è molto indietro con la mentalità”. Il titolare dell’hotel si è poi giustificato dicendo che quel messaggio l’aveva scritto per errore una sua dipendente.

Quando non sono i datori di lavoro, sono i clienti a manifestare intolleranza. È il caso della Lanterna, impresa sociale nata nel 1981 a Genova grazie a don Andrea Gallo, con l’obiettivo di recuperare persone in difficoltà e diventata un luogo simbolo della cultura dell’inclusione. Ci lavorano 5 ragazzi di colore, su 12. In pieno agosto su TripAdvisor e Google i gestori hanno dovuto cancellare diverse recensioni dei clienti. Qualche esempio: “Quanti neri, perché non fate lavorare gli italiani bisognosi?” oppure “Ormai lavorano solo i nordafricani?”.

Pelle nera? Niente case né vacanze
Non solo il lavoro. A chi ha la pelle nera viene negata pure la vacanza. Come accaduto a Margherita di Savoia, nel Barese, dove il proprietario di un appartamento si è rifiutato di lasciare le chiavi a due coniugi italiani, di origine cubana, al loro arrivo in Puglia. Il Comune ha potuto chiedere solo scusa.  A luglio è accaduto a Riano Flaminio, vicino Roma. “Non scherziamo, io non affitto casa ai neri, andate via” si sono sentiti dire nove ragazzi africani, dipendenti di una società di logistica, che dovevano ricevere le chiavi dei loro appartamenti per i quali avevano portato il regolare contratto d’affitto stipulato dall’azienda. Il locatore non ne ha voluto sapere nulla.

L’intolleranza aumenta, anche a causa di crisi, disoccupazione, fatti di cronaca, strumentalizzati quasi sempre. L’ultimo esempio, il più recente e più noto: Rimini. “Veramente Laura Boldrini, la donna che ricopre il più alto incarico della Repubblica Italiana – ha scritto Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia – non ha nulla da dire sui gravissimi stupri di Rimini commessi da un branco di vermi magrebini?”. Vermi magrebini?, le hanno replicato, la nazionalità non c’entra. “La ricerca sui social con la parola chiave ‘Rimini’ permette di incontrare in assetto da parata l’intera armata dell’odio, dell’intolleranza, del razzismo e molti avvelenatori dei pozzi” ha scritto il direttore del TgLa7 Enrico Mentana. Dell’altro extracomunitario coinvolto della vicenda, la trans peruviana vittima del branco, “non c’è menzione o quasi: e non è questione di buonismo”.

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