Il regime nordcoreano “sta pregando per fare la guerra“. L’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, è intervenuta così alla riunione d’emergenza dell’Onu dopo il test nucleare della Corea del Nord. “Enough is enough”, quando è troppo e troppo” ha detto la diplomatica chiedendo “le più forti misure possibili contro il regime di Pyongayang”. Haley ha criticato l’azione spesso “troppo lenta e debole” della comunità internazionale e aggiunto “chiunque continua a fare affari con la Corea del Nord sta solo aiutando il regime. Il programma nucleare della Corea del Nord ha raggiunto una pericolosità senza precedenti e solo le azioni e le sanzioni più forti possono fermare il regime”. Un riferimento non troppo velato alla Cina da cui è arrivato però proprio un appello diretto a Pyongayang a fermare immediatamente le sue azioni, che sono “sbagliate” tramite l’ambasciatore alle Nazioni Unite. La Cina, che un mese fa per la prima volta aveva votato sì a una risoluzione per le sanzioni, ha presentato “una forte protesta formale” all’ambasciata della Corea del nord di Pechino. Comunque è esclusa l’opzione “militare”, che invece gli Usa hanno già minacciato . Un invito al dialogo che nei giorni scorsi è arrivato anche dalla Russia, che ha comunque condannato l’ultima provocazione di Kim Jong-un e ancora oggi dal presidente Putin.

Intanto Seul e Washington hanno concordato di rimuovere il limite di carico alle testate per i missili sudcoreani. Intesa arrivata durante la telefonata tra i presidenti Moon Jae-in e Donald Trump, diffusa dalla Blue House. La mossa, una spinta agli armamenti, vuole aiutare Seul a far crescere le capacità di difesa viste le provocazioni della Corea del Nord. In base all’accordo già rivisto tra i due alleati nel 2012, il Sud poteva sviluppare missili con un raggio fino a 800 km e potenza di carico fino a 500 kg.

L’intelligence sudcoreana ha infatti messo in guardia dai rischi di un nuovo test nucleare, possibile in ogni momento, e di lanci di altri missili balistici intercontinentali individuando il 9 settembre, anniversario della fondazione dello Stato, e il 10 ottobre, giorno della nascita del Partito dei Lavoratori, come date sensibili. In un’audizione parlamentare, il National Intelligence Service (Nis) ha aggiunto che le analisi su 2 dei quattro tunnel del sito atomico di Punggye-ri mostrano “che una detonazione è sempre possibile”. La tensione resta quindi altissima e lo scenario di una guerra devastante che potrebbe poi innescare un conflitto ben più ampio allarma e preoccupa anche  lo stesso Trump che il 9 agosto scorso aveva promesso “fuoco e furia” contro il regime. Nessun esperto – dentro e fuori l’amministrazione Trump – nasconde oramai come anche di fronte a un intervento su larga scala delle forze armate Usa (compreso l’intervento di truppe di terra) la rappresaglia di Pyongyang sarebbe inevitabile. Con almeno 25 milioni di sudcoreani che diventerebbero il bersaglio dell’artiglieria e dei razzi di Kim. Senza contare i quasi 30mila americani che vivono nella regione. Mentre il Giappone sa già bene come i missili di Kim possono colpire in qualunque momento.

Nonostante la minaccia di una “massiccia risposta militare” arrivata da Washington dopo l’ultimo test nucleare nordcoreano, tutti i più stretti consiglieri e collaboratori del presidente americano frenano: dal consigliere per la sicurezza nazionale H.R. McMaster allo stesso capo del Pentagono, l’ex generale James Mattis. Le opzioni militari ci sono, e sono già da tempo sulla scrivania dello Studio Ovale. Ma – non si smette di ripetere al tycoon – non sono di fatto praticabili. Se non come ultima risorsa, in chiave difensiva. “Abbiamo molte opzioni militari”  ha dichiarato Mattis assicurando che ci sarà una “massiccia risposta” militare a qualsiasi minaccia agli Stati Uniti, inclusa Guam. La risposta sarà “imponente, una risposta efficace e schiacciante”, afferma Mattis. “Non puntiamo al totale annientamento di un paese, la Corea del Nord, ma abbiamo molte opzioni per farlo” aggiunge. La Corea del Sud intano registra segnali relativi alla preparazione di un lancio di un altro missile balistico.

Per Francia e Regno Unito invece bisogna aumentare la pressione sul regime di Pyongyang e varare nuove sanzioni  per penalizzare ulteriori settori dell’economia del Paese. “Ne va della nostra credibilità. La possibilità di un negoziato non è mai stata così lontana”, ha detto l’ambasciatore francese, mentre il rappresentante britannico ha sottolineato come il dialogo sarà impossibile fino a quando il regime di Kim Jong-un “non cambierà drasticamente direzione“. Il presidente russo Vladimir Putin, che ha sentito Moon al telefono e che qualche giorno fa aveva avvertito sulla possibilità di una pericolosa escalation, ha ribadito la posizione russa secondo cui “questa situazione estremamente complicata può essere risolta solo con la ripresa dei negoziati e strumenti politici-diplomatici”. Su una maggiore pressione internazionale sulla Corea del Nord hanno concordato anche Angela Merkel e Donald Trump in una telefonata. La cancelliera ha ribadito che “obiettivo resta una soluzione pacifica”, e ha affermato che la Germania “si impegnerà in Europa perché in Ue vi siano sanzioni contro la Corea del nord”.

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