D’estate, al mare, mi piace osservare i comportamenti delle persone, soprattutto dei giovani. Per via del mio lavoro (docente universitaria) vivo a stretto contatto con i ragazzi: mi incuriosiscono perciò anche in vacanza. Quest’anno ho fatto due esperienze antitetiche. Come vicini di ombrellone ho avuto quattro giovani ventenni: due maschi al second’anno di università, due fanciulle al primo. Viso schietto, fisici armonici, risata cristallina. Chiacchieravano fra loro, senza tuttavia chiudersi a riccio nel gruppo: hanno intavolato qualche discorso con gli altri vicini e con me, sempre in maniera cortese. Nuotavano, prendevano il sole, leggevano libri – romanzetti e qualcosa di saggistica –, ascoltavano musica con gli auricolari. Frequentavano il bar della spiaggia, giocavano a pallavolo, si concedevano una partita di ping-pong.

Mi hanno detto che la sera spesso cenavano in pizzeria e qualche volta andavano in discoteca. Mi hanno raccontato di qualche gita nei paesi vicini per ammirare le opere d’arte architettoniche e pittoriche. Insomma, una vita piena e varia, nella quale c’è posto per tutto: lo studio, il divertimento, la lettura, il colloquio con gli altri. Il tono di voce, indicativo della personalità e della cultura più dello sguardo e del gesto, era aperto, a volte esuberante, mai sgarbato o volgare. La sintassi italiana era atta a formulare discorsi articolati e persuasivi. Non so chi abbiano avuto alle spalle negli anni dell’adolescenza: probabilmente famiglie normali, di operai o di impiegati, come tanti; buone scuole con docenti positivi. In ogni caso, la loro formazione risulta, finora, del tutto convincente. Ragazzi responsabili e maturi. Insomma, un piacere vederli e praticarli.

Terminato questo periodo, sono stata invitata da un’amica a casa sua, sempre al mare. L’appartamento è al primo piano di un condominio signorile di tre. Mi sono fermata otto giorni. Il secondo giorno, in affitto sopra di noi, arrivano cinque ragazzi (maschi). L’approdo è traumatico: bussi, tonfi, trascinamento di mobili. Sembrava una scuderia di perissodattili. Improvvisamente, musica ad altissimo volume. Ci auguriamo che il fenomeno cessi entro poche ore, ma la musica prosegue fino a mezzanotte: cinque-sei brani, sempre quelli, reiterati all’esasperazione. La mia amica è mortificata.

Le dico di non preoccuparsi: i giovani trascorreranno al mare le giornate, la sera staranno un po’ in casa, poi usciranno. Diremo loro di abbassare il volume. Sbagliavo. Non vanno MAI in spiaggia. La loro vacanza è questa: dormono dalle 7 del mattino alle 14, poi urlano, trascinano mobili (ma perché?), attaccano con la musica fino a mezzanotte. Indi vanno in discoteca, ritornano rumorosamente alle sei. La mia amica è sempre più costernata. Decido di affrontarli, di chiedere che almeno abbassino il volume del suono. Dopo vari squilli alla porta, aprono: hanno lo sguardo assente, non sanno condurre un discorso strutturato. Il tono di voce a scatti, inarticolato, è greve, senza spirito. Faccio notare che ci sono altri inquilini, anche bambini e anziani. E che il contesto, silenzioso e pacato, non si presta a una tale invasione sonora. Forse per un attimo balena loro l’idea che “esiste un contesto”: senza empatia rispondono che staranno attenti. So che non sarà così. Si vede che sono “strafatti”. Rattrappiti nel loro bozzolo, la musica è un rifugio che li isola dal mondo; il grido inarticolato è la loro modalità primaria di comunicazione. Gli altri condomini protestano col padron di casa,che interviene: il fenomeno cala un po’, ma si riaccende dopo un giorno. Evidentemente non sanno capire, non sanno rapportarsi al mondo.

Riparto con un sospiro di sollievo. Però mi ronzano nel cervello due domande. La prima. Chi c’è stato dietro questi giovani? Famiglie disgregate e scuole inefficienti? Per tutti e cinque? È possibile, ma non ci credo. Credo semmai che loro stessi abbiano deciso d’imboccare la strada della dissoluzione di corpo e mente. La responsabilità individuale esiste. Famiglia e scuola possono influire, ma poi ciascuno esercita la propria “libertà” come vuole (a 18 anni si ha diritto di voto). La seconda domanda. Se persisteranno in tale condotta di vita, chi provvederà a loro quando avranno quarant’anni? Su chi cadrà l’onere del welfare? Sui bei ragazzi, i miei vicini d’ombrellone?

A questa domanda non so rispondere. Pensiamoci però.

Articolo Precedente

Caro libri, la soluzione sono i tablet. Le scuole che li sperimentano: “La spesa per le famiglie è dimezzata”

next
Articolo Successivo

Università, settembre tempo di bilanci e scelte per la matricola (un anno dopo)

next