“Non possiamo parlare di un rifiorire del progetto europeo, ma siamo in una fase di maggior fiducia”. Tuttavia “scordiamoci di poterci salvare con l’esaltazione della belle époque della globalizzazione anni ’90 perché, non c’è più”. Nel suo esordio a Cernobbio Paolo Gentiloni glissa sullo sgarbo del ministro dell’Economia francese che lo ha preceduto e, nonostante le parole cortesi, poche ore prima dell’arrivo del premier italiano aveva occupato rumorosamente la scena a suon di ricette anticrisi in netta antitesi con le mosse di Roma. Per di più sventolando un’asse francotedesco che non assomiglia neanche da lontano a un triangolo con la Penisola.

“Io non sono un presidente del Consiglio che promette miracoli. I miracoli li fanno le famiglie e le imprese”, è invece il manifesto del premier italiano che è lontano mille miglia tanto da la grandeur di Le Maire quanto dai toni di Matteo Renzi. E preferisce puntare su una disanima della situazione. Non senza preannunciare una buona legge di bilancio che “non faccia danni” e che “continui ad accompagnare la crescita e facendo il possibile, in modo particolare per il lavoro ai giovani, per l’innovazione sulla scia 4.0 e per la riduzione delle diseguaglianze sociali più acute”. Impegno principale del governo prima della “fine ordinata della legislazione”.

A proposito delle urne, l’Italia “non può essere descritta come la pecora nera in un gregge europeo caratterizzato da una grande stabilità di governo e da maggioranze tranquille”, rivendica Gentiloni rispondendo a chi ha parlato di rischi di instabilità politica. “Se guardo alle sei maggiori economie europee, la maggior parte di queste ha una situazione di maggioranze fragili da cui non abbiamo molto da invidiare – aggiunge – E poi l’Italia ha pagato la precarietà dei nostri governi, è stato certo uno dei nostri problemi principali, ma chi guarda l’Italia da fuori non deve confondere i prezzi pagati una presunta instabilità, che non c’è mai stata, nelle scelte fondamentali del nostro paese”.

In generale, poi, secondo il premier “l’Italia non è certamente fuori dalle sue difficoltà, non ha risolto il problema del debito pubblico e del ritardo del Mezzogiorno. Tuttavia andando all’essenziale ci sono almeno tre punti evidenti, e il primo è il ritorno della crescita“, dice ad economisti e imprenditori riuniti al Forum Ambrosetti. “In questo contesto favorevole, anche se non privo di rischi, l’Italia arriva lasciando alle spalle la crisi più acuta che abbiamo avuto nel dopoguerra. Possiamo finalmente dire di aver lasciato dietro le spalle il periodo più difficile del dopoguerra”, sottolinea aggiungendo che “tra i tanti indici per me il più importante è l’indice di fiducia, che è l’indice più impalpabile. Ma se cresce, nonostante le ansie comprensibili e anche le paure seminate ad arte, è uno degli elementi più incoraggianti per chi governa”.

“In questi ultimi giorni siamo stati sommersi da diluvio di dati e statistiche…la direzione di fondo è di una forte correzione in positivo. Penso che se ci fosse un premio per l’alta correzione in positivo lo vincerebbe l’Italia”, rivendica ancora. ”Possiamo poi discutere se staremo nel gruppo di testa. Di certo siamo partiti stando sicuramente più indietro perchè da noi la crisi è stata più acuta e se parti da molto indietro hai chanche maggiori di altre”.

Quanto all’esterno, “viviamo in un contesto contraddittorio ad altissimo tasso di imprevedibilità geopolitica”, ricorda Gentiloni sottolineando che dal punto di vista economico c’è “un andamento generalmente positivo nel mondo, in particolare nel continente europeo, fino al punto di tradursi in un più generale investimento di fiducia”. Un aumento di fiducia che “non era scontato il 23-24 giugno” del 2016, quando la Gran Bretagna decise per la Brexit.  “Noi – conclude – non abbiamo riservato brutte sorprese agli alleati e agli investitori che hanno scommesso sull’Italia e non le riserveremo in futuro perché sono convinto che anche in Italia non vincerà la politica ridotta a insulto, la negazione della scienza, la derisione della competenza. Non vincerà”.

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