C’è una grande tradizione siciliana delle danze di corteggiamento. Ritmi e gesti per farsi notare e per convincere il partner ad accettare il nostro corteggiamento. In alcune di queste danze si simula un duello incruento tra i pretendenti, una finzione con la corteggiata che se la ride di gusto. Quanto sta avvenendo in Sicilia è un po’ la stessa cosa, ma senza la grazia e la musica dei balli popolari.

Per tutta l’estate, Angelino Alfano, in realtà la dote elettorale presunta, è stato al centro del corteggiamento. In un frenetico ballo dove i passi erano sostituiti dagli osanna a mezzo stampa e la musica da suadenti melodie di promesse romane. E, come in ogni corteggiamento, sommerso di regali e inviti galanti. Peccato che tutto questo romantico dibattito sia stato fatto sulla pelle dei siciliani e immolando ogni ragionamento e ogni traccia di programma. Già, perché non c’è traccia di Sicilia in questo ballo, non c’è traccia dei problemi di questa terra e nemmeno di uno straccio di ipotesi per risolvere le emergenze. Che non mancano di certo. L’offensiva vincente del Pd e dei suoi alleati, infatti, si è giocata su altri tavoli e la Sicilia, da protagonista, si è ridotta a merce di scambio. Offerta in sacrificio per equilibri romani da mantenere.

Questo, mentre la Sicilia sprofonda in un disastro economico, etico e sociale spaventoso. Ma l’isola rappresenta solo la quinta dello spettacolo, di scarsa qualità, che si sta mettendo in scena. Per cinque anni, il Pd e un insieme di forze sconosciute oltre lo Stretto (Sicilia Futura, Megafono, Centristi per la Sicilia) hanno governato. Per meglio dire hanno occupato i posti di governo. Niente sul piano del lavoro, sul disastro rifiuti, sulla rete infrastrutturale. In cinque anni, l’attività principale è stata il rimpasto.  Un numero di assessori cambiati, ricollocati e richiamati da far invidia anche a Zamparini. Quarantasette, alla fine, e potrebbe non essere finita qui, visto che in due mesi ancora qualche nomina può scappare. Per sfuggire al giudizio dei siciliani su questo disastro si è scelta la strada del camuffamento.

Ecco che da un giorno all’altro chi con Crocetta ha governato, e continua a farlo, ha cominciato ad usare la parola must di questa estate politica in terra sicula: “discontinuità. Una roba oramai più fastidiosa di despacito. “Bisogna essere discontinui da Crocetta” hanno detto in coro assessori passati e presenti, esponenti di spicco di una maggioranza che per cinque anni ha tenuto in ostaggio l’Isola. Una discontinuità ovviamente di facciata e non sostanziale. Una discontinuità che, qualcuno l’ha proposto realmente, dovrebbe manifestarsi in un ticket proprio con Crocetta indicato vicepresidente.

Tutto perché, è il nuovo e vecchio mantra, si deve vincere. Una riedizione pecoreccia della grande alleanza di Games of thrones per conservare il trono, ma senza eroi. E senza draghi. Ecco che un posto in questa alleanza lo si trova anche ad Alfano, leader di quel partito riuscito nel capolavoro di indicare assessori in giunta senza ammettere di essere formalmente parte della maggioranza. Anzi, in questa alleanza, Alfano viene invitato con tanto di tappeto rosso come l’ingrediente indispensabile. Per avere Alfano e la sua pattuglia si sacrificano programmi e possibili anomalie, si sacrificano idee e ideali, e alla fine si sacrifica l’intera Sicilia. Gli uomini del Cara di Mineo e dei mille scandali sono troppo preziosi evidentemente, almeno più preziosi della possibilità di restituire speranza alla Sicilia.

I campi larghi, anzi larghissimi, diventano il miglior modo per nascondere responsabilità diffuse. Le alleanze, un modo per garantirsi una speranza di sopravvivenza politica. In questo parlare continuo di discontinuità, alla fine, rimane immutato l’antico vizio della classe dirigente siciliana. Pensare che tutto si decida dentro i dorati palazzi della politica, intorno a tavolini e caminetti. Un piccolo chimico delle alleanze in cui dosare non idee, ma appetiti di questa o quella forza politica, di questa o quella figura di spicco. In una maionese impazzita in cui la Sicilia è poco più di una scenografia sullo sfondo. Cadente.

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