Ride mentre i volontari lo prendono in giro. “Ma lo sai che in Finlandia, per sei mesi, non c’è il sole?”. “Basta una giacca”, dice lui. Khaled, il nome è di fantasia perché come tutti i suoi connazionali qui ha paura delle ritorsioni del regime eritreo sulla famiglia rimasta ancora laggiù e che proverà a portare in Europa appena potrà. Ha 21 anni ed è in partenza per il nord Europa grazie alla relocation. Ovvero il programma di “selezione” cui possono accedere “persone in evidente necessità di protezione internazionale, appartenenti a nazionalità il cui tasso di riconoscimento di protezione è pari o superiore al 75% sulla base dei dati Eurostat”. Come sintetizza Open Migration, soprattutto siriani, eritrei e iracheni

Era il 2015 quando l’Unione europea si era impegnata formalmente a ricollocare entro il settembre di quest’anno 160mila persone da Italia e Grecia verso altri Stati europei. Ad oggi, le cose non sono andate esattamente così: i ricollocamenti effettuati dall’Italia sono 7.873 su un totale di 24.676. Ma ora, assicura il commissario Ue alla Migrazione Avramopoulos, “finalmente cominciamo a vedere progressi”: a giugno il livello delle richieste di ricollocamento andate a buon fine è stato, spiega, da “record” con mille trasferimenti dall’Italia e più di 2mila dalla Grecia.

Voglio studiare e cominciare una vita nuova: prima di tutto imparare la lingua. E poi un corso come meccanico”. “Quando sono arrivato in Sicilia sono stato collocato in un centro di accoglienza dove in teoria dovevamo cominciare il nostro percorso come richiedenti asilo Ma chi gestiva il centro ci ha messo a lavorare in una campagna. Allora siamo scappati e siamo venuti a Roma. Sono quasi quattro mesi che sono qui”. Pacche sulla spalla, sorrisi. Insieme a lui, un altro ormai ex ospite del Baobab di Roma, il presidio umanitario per migranti in transito nella Capitale, lascerà questo posto in settimana.

“Abbiamo mandato in relocation da questo presidio quasi 70 persone in tre mesi“, racconta Giovanna Cavallo della Rete Legale Migranti in transito. “I paesi sono Finlandia, Svezia e Germania. Li abbiamo accompagnati in Questura, formalizzato l’istanza, c’erano mille problemi di domiciliazione. Oggi stanno raggiungendo le loro mete. Siamo gli unici che non chiacchierano e aiutano a transitare legalmente sul territorio nazionale queste persone: alla stazione, ricordiamolo, non c’è neppure un presidio informativo”.

La Rete Legale Migranti in transito sta gestendo ora il caso di 120 eritrei sbarcati in Sicilia cui sono è stato dato appuntamento per la procedura addirittura a novembre e dicembre. “Rimarranno tre mesi in strada e diventeranno, come dice la questura, un problema di ordine pubblico. Abbiamo mandato la segnalazione al ministero, speriamo che la situazione si sblocchi. Ora sono qui in fila per la cena”. Già, perché nonostante la ventina di sgomberi subiti da settembre dello scorso anno, quando è stato smantellato il presidio di Via Cupa, la rete del Baobab Experience insieme alla società civile – non pochi i preti che vengono qui a portare cibo, dolci e beni di prima necessità ogni giorno – continua a fornire tre pasti al giorno a questi “migranti nel limbo” della burocrazia del sistema di accoglienza. “Hanno buttato tende, gazebo, gli effetti personali dei migranti i ricordi, i diari personali, gli appuntamenti in questura”, racconta Robero Viviani del Baobab. “Abbiamo fatto partire una denuncia per appropriazione indebita per sequestro non autorizzato: sono beni privati”.

 

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