Fra le centinaia di persone che, ieri, hanno dato l’ultimo saluto a “Gero”, Giorgio Caldarelli, il mimo che animava il Gabibbo, c’era anche Mario Molinari, uno dei giornalisti che lavorando prima per “Striscia” e poi per le Iene, anno fatto la storia della tv privata in Italia, sino al giorno in cui uno scoop “inopportuno” negli impianti dell’Eni in Nigeria gli è stato ripagato con l’emarginazione e l’esilio. Lo abbiamo raggiunto a Savona, per chiedergli come sono stati i 12 anni passati a lavorare a fianco al Gabibbo.

“Gero” come ha iniziato a fare il Gabibbo?
Ricci lo chiamò come mimo e anche perché era minuto e aveva la statura adatta al ruolo ed era un mimo bravissimo perché aveva lavorato con Nichetti, con “Quelli di Grock”, con la Finocchiaro. Il primo costume glielo cucì addosso sua moglie Katia. L’idea di Antonio Ricci era quella di un pupazzo che piacesse anche ai bambini e in effetti i bambini stravedevano per il Gabibbo. Volevano vedere “Striscia” solo per vedere il Gabibbo che ballava.

Possiamo dire che il Gabibbo è stato l’unico ‘inviato’ che facesse delle inchieste con un MANDATO dell’infanzia, quasi fosse un portavoce della curiosità infantile fra i problemi degli adulti?
Sì, divenne una specie di Robin Hood, un pupazzo vendicatore delle ingiustizie o delle inefficienze italiane, che tutti guardavano negli occhi come se fosse una persona.

Ricordo lo slogan “Chiamiamo il Gabibbo!” o “Qui dobbiamo chiamare il Gabibbo!”
Assolutamente, “Chiamo il Gabibbo!” era la tipica frase del cittadino vessato dalla burocrazia, dalla malasanità o da opere pubbliche incompiute per decenni, che negli anni di Tangentopoli crescevano come funghi.

Si può dire che il Gabibbo prepara per certi versi il terreno psicologico per l’avvento di Grillo, un personaggio comico che denuncia ?
Sì, perché il Gabibbo è stato il precursore anche delle prime azioni di Grillo che, se ben ricordo, furono contro una centrale a carbone nel Mantovano o per l’auto elettrica davanti ai cancelli della Fiat e questo “vendicare – in forma comica – le ingiustizie” o il fatto di battersi contro la burocrazia erano proprio la cifra del Gabibbo.

Il fatto che a fare la denuncia non fosse più il giornalista coraggioso (sino al licenziamento), il magistrato o l’operaio ribelle – cioè i personaggi del cinema neorealista – ma un pupazzo, un personaggio comico, favorì il fenomeno dei “Cittadini-che-denunciano”?
Sì, infatti Ricci fu uno dei primi a istituire un numero verde – che da buon ligure aveva voluto gratuito – per denunciare abusi e inefficienze e il fatto che fosse un pupazzo, un comico a condurre le inchieste facilitava la denuncia spontanea. Ma, attenzione, era un pupazzo molto autorevole: i politici o i cantanti a Sanremo avevano il terrore del Gabibbo. Quando un politico vedeva il Gabibbo erano grane, domande pesanti che era difficile evitare. Ricordo che nel ’97, dopo il terremoto di Umbria e Marche, Franco Barberi, responsabile della Protezione Civile, accettò l’intervista al Gabibbo dopo che avevamo scoperto che intere file di container per i terremotati erano abbandonate vicino a Cremona e durante la registrazione sudava freddo… A Udine, a Ferrara e in altre città, istituimmo una specie di ring su cui la gente andava a denunciare tutto quello che non funzionava, e la gente parlava al Gabibbo come a un vecchio amico. Anche perché il Gabibbo si faceva carico dei problemi anche raccogliendo denunce anonime e poi raccontandoli in un vero e proprio servizio.

E qui entra il tuo ruolo. Come lavoravi con il Gabibbo?
In una prima fase dovevo seguire l’editing del servizio, mettere in fila la storia, poi un giorno Ricci mi caricò su una chase longue munita di ruote che aveva in ufficio, e mi spinse correndo per i corridoi di Milano 2 e mi disse: “Da oggi farai le esterne del Gabibbo!”. Si vede gli ero simpatico. Il giorno prima mi aveva chiesto se me la sentivo di tirare un secchio d’acqua in testa a Vastano che conduceva l’edizione estiva di Striscia. E in effetti nell’ultima puntata di Striscia si vede un uomo mascherato che entra alle spalle dei due conduttori e tira una secchiata d’acqua a Vastano. Ero io. Fare le esterne voleva dire organizzare tutto con la redazione e in esterna coordinare l’atteggiamento del Gabibbo, quello della troupe, insomma seguire un po’ la regia della situazione. Ricordo che il Gabibbo non parlava ed ero io a fare le domande ai politici stando fuori campo e i politici spesso rispondevano guardando me ma molto più spesso il pupazzo.

Qual è il politico che fu maggiormente messo in imbarazzo dal Gabibbo ?
Ricordo che il più favorito fu D’Alema. Nel 1993/1994 mi mandarono a Roma a girare la cronaca di una partita Magistrati-Politici, e c’era un giovanissimo D’Alema e durante la partita non accadde nulla di speciale. Faceva un freddo becco e l’unica cosa interessante nel girato era questo giovane D’Alema, allora grigio funzionario di partito, che si soffiava sulle mani facendo uno strano gesto, quasi un tic. Proposi a Ricci di montare in catena questo gesto e Antonio disse “Bellissimo!” e fece la puntata facendo chiedere dal conduttore se questo gesto, chiamato “Fu-fu”, fosse un gesto propiziatorio. “Fu-fu” divenne un tormentone (quello che oggi si chiamerebbe un MEME) e la gente iniziò a mandare filmati in cui ognuno lo ripeteva a suo modo. Persino due sommozzatori sott’acqua, persino due sposi sull’altare. Bene, questo gag giovò moltissimo a D’Alema perché lo rese più umano e credo che a Mediaset abbiano ancora una foto di D’Alema che stringe la mano al Gabibbo, che anticipa, forse involontariamente, le “larghe intese”. Prodi era celebre per dormire in aereo o in auto e quindi i suoi capelli sulla nuca formavano una rosa che Ricci chiamava il “nido di merlo” per cui lo avvicinavamo sempre da dietro stringendo sul “nido di merlo”. Un giorno gli chiedemmo “Ma presidente perché parla così piano?” e lui , in mezzo a un sacco di domande che voleva evitare, bloccò la scorta e rispose: “PERCHE’ COSI’ MI SEGUITE MEGLIO!”

Com’era umanamente “Gero” ?
Straordinario.“Gero” era bhuddista e aveva aderito alla Soka Gakkai. Alle cinque del pomeriggio, ovunque fossimo, lui doveva fermarsi e recitare il mantra fondamentale della Soka, anche mentre registravamo un servizio. Quando c’erano dei bambini presenti sulla scena delle riprese, lui non si scopriva mai la faccia, che era coperta da un cappuccio nero , perché avrebbero visto che nel pupazzo c’era un uomo e sarebbe caduto un mito. Sarebbe stato come scoprire che Babbo Natale non esiste. Spesso era, nei modi di fare, molto sbrigativo, ma era una persona eccezionale sul piano umano e anche della resistenza fisica. Quando andavamo in un territorio disagiato, dopo un terremoto o un’alluvione, non si contavano le ore di lavoro e dentro quel pupazzo c’era un caldo da morire. Non si respirava e starci entro per 8 o 10 ore, magari aprendo solo la testa quando doveva mangiare, era un lavoro durissimo, ma “Gero” non si è mai lamentato. Lo stesso quando doveva muoversi sul terreno delle alluvioni con quei piedi enormi che affondavano nel fango. La gente lo adorava. Il Gabibbo era più popolare di Pippo Baudo e più passava il tempo più diventava difficile far servizi perché la gente lo assaliva per gli autografi. Giravamo sempre con troupe “in borghese” e lui magari si cambiava in un campo per evitare di essere circondati da folle di fan in cerca di autografi.

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