Mentre i soccorritori estraggono dalle macerie Ciro, un bimbo di 11 anni rimasto intrappolato sotto un letto, dopo aver salvato i suoi due fratelli, gli esperti s’interrogano sulle caratteristiche del terremoto che, alle 20:57 della sera del 21 agosto, ha colpito l’isola d’Ischia, provocando due morti, 39 feriti e circa 2600 sfollati. Una scossa con una magnitudo pari a 4.0 nella scala Richter, inizialmente stimata a 3.6, con un ipocentro a 5 km di profondità, in mare, a 3 km a nord dell’isola che chiude a ovest il golfo di Napoli. “Il terremoto che ha colpito Casamicciola è diverso da quello di Amatrice. È un sisma tipicamente ischitano e, senza dubbio, un terremoto vulcanico. Si tratta di terremoti particolarmente superficiali, che sono come fucilate. Questo accade perché al di sotto di cinque chilometri la crosta diventa troppo calda per generare una rottura”, spiega Gianluca Valensise, sismologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).

Riguardo, invece, lo scostamento della stima iniziale della magnitudo, il sismologo sottolinea le difficoltà di studiare i terremoti vulcanici a causa della distanza delle stazioni di rilevamento, che richiede un’analisi più complessa rispetto a quanto avviene nel caso dei terremoti tettonici. “Il valore 4.0 – chiarisce Valensise – si riferisce alla magnitudo calcolata sulla base della durata dell’evento. Il precedente valore di 3.6 faceva, invece, riferimento alla magnitudo locale. Il valore definitivo della magnitudo, chiamato magnitudo momento, che è poi quello da prendere in considerazione si basa, infatti, sulla stima del momento sismico, cioè su una durata più ampia del sismogramma, fino a 30 minuti”. Il primo valore della magnitudo è stato, quindi, calcolato dall’Ingv in modo automatico. Il nuovo valore di 4.0 si è basato, invece,  sui dati rilevati dalla rete simica dell’Osservatorio vesuviano dell’Ingv, che ha quattro stazioni a Ischia. E ha permesso anche di ricalcolare la profondità dell’evento da dieci a cinque chilometri.

Un sisma, quindi, quello campano legato alle origini vulcaniche di Ischia. L’isola è, infatti, compresa nella regione flegrea. Rappresenta la porzione sommitale di un apparato vulcanico alto circa 900 m dal fondo del mare, la cui cima è il monte Epomeo. Ischia ha una storia geologica vecchia di 150 mila anni, caratterizzata da grandi eruzioni esplosive, come quella del Tufo Verde del monte Epomeo, verificatasi circa 55.000 fa, che ha lasciato nell’isola una grande depressione, una caldera, nella regione in cui prima si trovava la camera magmatica. Il centro abitato più colpito, Casamicciola, non è nuovo a eventi sismici, anche disastrosi. Secondo il “Catalogo parametrico dei terremoti italiani 2015”, infatti, l’isola d’Ischia in passato è stata colpita da 12 terremoti, con una magnitudo compresa tra poco meno di 3.0 e poco più di 4.0. Il più antico è avvenuto il 2 novembre 1275, il più recente risale al 23 aprile 1980. Quello più distruttivo, invece, si è verificato il 28 luglio del 1883. Una scossa che ha provocato più di 2200 morti su una popolazione di circa 4 mila persone. Un evento rimasto impresso nella popolazione, tanto che l’espressione “qui succede Casamicciola”, contenuta in una commedia di Eduardo Scarpetta di inizio ‘900, è entrata nel lessico popolare napoletano come sinonimo di distruzione, caos e morte.

L’Ingv comunica che, a più di 12 ore dal sisma della sera del 21 agosto, “non sono state registrate altre scosse rilevanti, ma esclusivamente una trentina di piccoli terremoti di bassissima magnitudo, minore di 1.0”. Secondo gli esperti dell’Ingv, una delle peculiarità dei terremoti che colpiscono l’isola “è che a stime di magnitudo piuttosto modeste corrispondono effetti di intensità macrosismica molto elevata e distruttiva, che però in genere interessano un’area estremamente limitata”. All’origine, “un concorso di fattori complesso – sottolinea l’Ingv -, come gli ipocentri molto superficiali, la geologia dell’isola, la vulnerabilità del patrimonio edilizio e l’elevata densità abitativa”. A complicare le cose, spiegano gli esperti, “la fragilità del suolo, come dimostra la frequenza delle frane”. La più recente è avvenuta il 10 novembre 2009, quando un costone del monte Epomeo, promontorio di origini vulcaniche che si erge al centro dell’isola, si è staccato per le abbondanti piogge generando una frana che ha raggiunto il porto di Casamicciola, con un bilancio di una vittima e numerosi feriti. “Nella zona di Casamicciola, la più colpita dal sisma – spiega Valensise – c’è un terreno particolare, che amplifica le onde sismiche. Una ragione in più per costruire con maggiore attenzione in questi territori. L’abusivismo è un problema. Ma un’altra questione, spesso sottovalutata – spiega il sismologo – è come sono eseguiti gli interventi su edifici più antichi. Spesso, infatti, e lo dimostra uno studio sulla vulnerabilità dei centri storici dell’Appennino che stiamo per pubblicare con altri colleghi, cattivi comportamenti portano a effettuare interventi sbagliati su edifici già preesistenti. Nei quali vengono, ad esempio, realizzate coperture di cemento su strutture fragili, che – conclude Valensise – le trasformano in vere e proprie tombe”.

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