Donald Trump è personaggio talmente grottesco che non si sa mai se prendere sul serio le sue sparate e le sue minacce. Nel caso del Venezuela, però, pare rivelatrice la circostanza che, prima di esternare grottescamente in merito, il concentrato di arroganza e ignoranza che è immeritatamente a capo della prima o seconda potenza mondiale, si sia consultato con il capo del suo Dipartimento di Stato, Rex Tillerson. Quest’ultimo, si sa, è persona estremamente lucida e professionale che fa bene il suo mestiere, quello di tentare di realizzare sempre e comunque gli interessi dei suoi datori di lavoro, ovvero la Exxon Mobil e/o gli Stati Uniti d’America, entità com’è noto tra loro intercambiabili e compenetrate, alla pari del resto di numerose altre multinazionali della finanza, degli armamenti, dell’energia, dell’alimentazione, ecc.

Dopo aver incontrato Tillerson, Trump ha dichiarato testualmente di non escludere l’opzione militare per il Venezuela, dato che si tratta di Paese fra l’altro non lontano e che le truppe statunitensi sono dappertutto, anche in posti molto più lontani. Una spudorata dichiarazione che ha raccolto il plauso di taluni illuminati corrispondenti della stampa italiana. Del resto, dopo aver fabbricato indebitamente il mostro per vari anni, costoro si sentono obbligati ad esultare ora che finalmente pare profilarsi all’orizzonte il cavaliere senza macchia e senza paura che vorrebbe sopprimerlo.

L’obiettivo di Trump, come di Mogherini, Gentiloni & co., è ovviamente costituito dall’Assemblea nazionale costituente, il nuovo organismo votato domenica 30 luglio da oltre otto milioni di venezuelani (numeri poi contestati), che si appresta a dare nuovi orientamenti allo Stato caraibico sulla strada oramai inevitabile del socialismo e per sconfiggere i difetti atavici della monocultura petrolifera, della corruzione e della criminalità. A far saltare i nervi a Trump e Tillerson pare siano stati anche altri risultati del governo di Nicolas Maduro, come la decisione del leader dell’opposizione Leopoldo Lopez di collaborare con la Commissione che sarà incaricata di fare luce su ogni tipo di violazione dei diritti umani e violenza compiuta negli ultimi anni nel Paese e quella dell’opposizione nel suo complesso, salva qualche frangia irrimediabilmente fascista, di partecipare alle prossime elezioni regionali in corretta e libera competizione con il partito di governo chavista PSUV.

In questo senso, la dichiarazione di Trump potrebbe leggersi come un’alzata di scudi nei confronti di quelle che erano state a lungo tempo le sue affidabili marionette e che hanno invece manifestato, con le due decisioni appena citate, un’insospettabile livello di autonomia e la volontà, fallita la sanguinosa ma al tempo stesso farsesca parodia di insurrezione messa in atto nei quartieri bene di Caracas, di rientrare nel gioco politico accettando la dialettica democratica. Alcuni degli stessi leader dell’opposizione, del resto, hanno apertamente condannato le dichiarazioni di Trump, e questo è indubbiamente un fatto positivo. Così come lo è l’analoga condanna proveniente da molti Paesi del mondo, fra i quali molti latinoamericani, compresi quelli, come il Cile o il Brasile, che pure avevano espresso forti critiche all’indirizzo del governo venezuelano.

Nessuna dissociazione, ovviamente, da parte dei servi statunitensi doc in Europa, tra i quali come al solito primeggiano Paolo Gentiloni ed Angelino Alfano, che avevano già plaudito alla criminale incursione statunitense contro la base di Assad da dove, a detta di Trump, poi smentito da molti, sarebbe a suo tempo partito un attacco chimico contro un villaggio siriano. La nostra miserabile classe politica è evidentemente orfana della guerra fredda. Se, al tempo di quest’ultima e della divisione del mondo in blocchi contrapposti operavano politici, fossero essi democristiani, socialisti o comunisti, dotati di classe, cultura e stile, nel contesto odierno del caos generato dall’incapacità di governare la globalizzazione e dal declino costante degli Stati Uniti avviati verso la guerra civile, abbiamo dei veri e propri nani politici che si guardano attorno sgomenti incapaci di declinare in modo coerente l’interesse nazionale su tutta una serie di temi, ma sempre pronti a genuflettersi di fronte ai potenti di turno, anche se si chiamano Donald Trump.

Le esternazioni di quest’ultimo, per quanto improbabile personaggio, vanno purtroppo prese sul serio. Si sa del resto che la bestia ferita è più pericolosa. Certamente, una riproposizione ai giorni nostri della politica del big stick, andrebbe incontro a sanguinosi fallimenti e farebbe esplodere la polveriera caraibica e latinoamericana. Una prospettiva ad ogni modo scoraggiante per la potenza imperiale, ma che sicuramente sarebbe foriera di lutti e distruzioni per tutti i popoli della zona e non solo.

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