di Pia Starace

Circola da luglio nelle librerie un volumetto di Stefano Rodotà intitolato “Il moralista militante”, un prezioso estratto del suo “Elogio del moralismo” (intitolato “Piccola premessa personale”), pubblicato nel 2011 per Laterza. L’iniziativa di diffonderne la conoscenza omaggiando il cittadino-lettore di questa breve, densa e raffinata pubblicazione, è molto pregevole. E’ un invito a riflettere.

Serve a diffondere un rinnovato allarme, sulla “questione morale” come sostanza vera della “questione politica”, riprendendone la ineludibile urgenza nella contemporaneità, in una linea di continuità con le indimenticabili (sebbene da molti dimenticate) lungimiranti considerazioni di Enrico Berlinguer che coglievano perfettamente il “rischio mortale” della caduta dell’etica pubblica, all’epoca avvertite come “fastidioso moralismo”. Rodotà ha il grande merito di riallacciare quel filo, lungi da atteggiamenti nostalgici, secondo una esigenza che si impone alla sua sensibilità di giurista, politico, professore universitario, intellettuale al servizio della società, nell’osservare con lucida oggettività la realtà italiana, attraversata “a ondate” da illegalità e corruzione “in ogni dove, negli appalti e negli ospedali, nei ministeri e nei comuni, esibita e giustificata”, senza che ciò procuri scandalo o smuova una indignazione vera e profonda.

La politica sembra aver dato le dimissioni rispetto al compito di guida cui sarebbe naturalmente preposta e si mostra incapace di vivere e interpretare lo spirito del tempo, manifestando invece un chiaro “distacco non solo da legge e moralità, ma dagli stessi principi della democrazia”. Il moralismo, termine che nei dizionari indica un atteggiamento eccessivamente tendente a far prevalere astratte considerazioni di ordine morale e a ricondurre i propri giudizi a rigorosi principi morali, viene, invece, nell’ottica di Rodotà riscoperto nel suo senso più pregnante – necessario quanto mai oggi nella convivenza civile – di bisogno, di pratica costante e insistente, di chiave di riflessione su quanto ci circonda, di precetto comportamentale, non intrappolante e gretto ma, al contrario, capace di suscitare riprovazione, di smuovere il senso critico, di causare reazioni fattive verso il quotidiano manifestarsi di condotte di abusi, di corruzione e di illegalità, sia macroscopici, sia di minore entità.

Dunque, purezza per un verso, concretezza per l’altro; questa l’essenza del moralismo per Rodotà. Egli crede profondamente nel tentativo di sollecitare le coscienze a una attenzione vigile verso gli accadimenti e al conseguente comune rifiuto delle deformazioni che in essi si manifestano. Ciò al fine di recuperare lo smarrito equilibrio fra azione ed etica pubblica e di ripristinare la prevalenza del diritto sulla forza, del rispetto sulla sopraffazione, della responsabilità sulla impunità. Perché la politica siamo noi.

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