Da quando vivo una parte dell’anno in Argentina, non so quante volte mi sono sentita dire che eccessiva burocrazia e corruzione sono “una triste eredità degli italiani“. I miei amici scherzano, perché sanno bene che i milioni di immigrati italiani che arrivarono su queste coste, hanno portato anche ingegno, creatività, tradizioni culinarie e voglia di lavorare. Ultimamente, mi sto convincendo però, del fatto che i miei amici potrebbero iniziare a dirmi che dall’Italia hanno importato anche un detto che noi conosciamo molto bene: “Tutto cambia perché nulli cambi”. Nel 2015, infatti, ha vinto le elezioni presidenziali Mauricio Macri, figlio di un immigrante italiano che è diventato uno degli uomini più ricchi del paese durante la dittatura militare.

Macri, spinto alla Casa Rosada da una classe alta e medio alta che si diceva stufa della corruzione dei Kirchner, ha beneficiato (e non poco) dell’appoggio di un fronte del centrodestra chiamato Cambiemos. Da subito però il Presidente argentino si è distinto per una serie di provvedimenti economici che stanno di fatto riportando l’Argentina sul pericoloso crinale degli anni 90, per intenderci, l’era di Menem. Esperti economici come Roberto Lavagna, ex ministro dell’Economia del governo Duhalde, ha detto la scorsa settimana che se si continua così finirà molto male e, se devo essere sincera, anche il mio portafogli ha iniziato a sentirsi non troppo bene.

Un caffè al bar, ormai costa più che in Italia (e non sto parlando di un espresso, ma di quella meravigliosa e fumante tazzina di acqua calda e nera che è il caffè qui); il pane, a luglio, ha subito un ulteriore aumento del 40%; il prezzo del latte è uno dei più cari al mondo (e con tutte quelle mucche che pascolano nelle pampas, proprio non lo crederesti). Secondo la Confcommecio argentina, ogni giorno chiude un ristorante, migliaia sono stati i licenziamenti nelle fabbriche e nelle aziende. Ai pensionati sono state tolte molte medicine che prima erano gratuite. Macri ha riaperto indiscriminatamente le importazioni di prodotti, soprattutto agricoli, tanto che non è più redditizio, ad esempio, coltivare mele quando le si può importare dal vicino Cile e pagarle la metà. E poi, cosa più preoccupante di tutte, è iniziata di nuovo a funzionare quella che qui tutti qui conoscono come la “bicicleta financiera”.

Lo Stato dà la possibilità di aprire un investimento bancario in pesos che dà il 28% annuo di interessi. Un’enormità. Il cliente può decidere di lasciarli il tempo che vuole. Con quello che guadagnano (dai piccoli risparmiatori alle grandi imprese) comprano dollari, aspettano che il” biglietto verde” guadagni e poi lo rivendono. Da quel guadagno investono di nuovo nel conto da 28% annuo di interesse e così via. Insomma, un giro che non produce ricchezza che viene reinvestita nel Paese, ma solo una gran speculazione a cui partecipano tutti. Ora a distanza di 15 anni dal corralito (l’improvvisa chiusura dei conti correnti che generò il panico), su quasi tutti i giornali sembra più importante occuparsi della bellezza della signora Juliana Awada, prima dama della Casa Rosada e meno delle conseguenze dell’economia neoliberista dell’Argentina che nel 2001 fulminò anche molti italiani. Qualche esempio: Il paese latino americano ha iniziato di nuovo a indebitarsi con il Fondo monetario internazionale con l’emissione di un titolo da pagarsi in 100 anni.

La luce e il gas sono aumentati del 400%. Uno stipendio medio in argentina è sui diecimila pesos e la gente, già l’anno scorso, si era vista recapitare bollette da quattromila pesos di gas, duemila pesos di luce. Tenete conto che 10mila pesos sono circa 600 euro (il cambio ora è un euro per 20 pesos). Un pensionato con la minima riceve settemila pesos. Certo, qualche sospetto viene, se si pensa che quasi tutti i ministri del governo Macri sono Ceo di grandi corporazioni petrolifere, elettriche e farmaceutiche. L’esperto di comunicazione della campagna presidenziale di Macri, l’ecuadoregno Duran Barba, sembra che consigli continuamente al presidente e ai suoi alleati di Cambiemos di non parlare mai di economia, ma di continuare a mandare un messaggio di pace e serenità e a ballare.

Eh, sì, perché sembra che il ballo di Macri nelle scorse presidenziali sia stato uno degli assi nella manica per farlo vincere. Staremo a vedere se nelle elezioni di medio termine che si svolgeranno questa domenica 13 agosto, gli argentini avranno voglia di “cambiare” di nuovo al ritmo della cumbia presidencial, forse per non cambiare veramente. Un ballo presidenziale sul quale nelle ultime ore, pesa come un macigno il primo desaparecido del governo Macri. Santiago Maldonado, un ragazzo di Buenos Aires scomparso dal primo agosto, giorno in cui in una regione della Patagonia stava partecipando a una manifestazione in favore della scarcerazione di un capo indigeno Mapuche, incarcerato per aver difeso la sua terra dalle continue espropriazioni delle multinazionali. Testimoni hanno riferito di averlo visto per l’ultima volta nelle mani della polizia.

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