Ieri per la prima volta ho trovato un inspiegabile traffico al crocicchio fra via Baldo degli Ubaldi e via Candia.
Innanzitutto va detto che nei mesi di luglio e agosto Roma diviene per incanto una città non solo vivibile ma graziosa, e i suoi millenari misteri sgorgano innumerevoli nella città quasi deserta tra vecchie mura e i monumenti, simili a fiori notturni, invisibili nella luce abbagliante del mattino, dei quali si avverte solo il colore antico e la silenziosa magia.

Durante l’estate il viavai delle automobili diviene civile e proporzionato.
Ma ieri, d’improvviso un ingorgo inspiegabile, tanto più che nessuno protestava, i clacson tacevano e la fila si muoveva lenta e in dolce armonia.
Quando è stato il mio turno ho capito. Una ragazza la cui bellezza rimane indescrivibile, con gesti di rara eleganza, offriva agli automobilisti di pulire il vetro anteriore della macchina.
Una camicetta di seta azzurra, svolazzante al soffio del ponentino, lasciava ogni tanto intravedere il bellissimo seno, e gli sguardi di tutti, compreso il mio, si posavano con delicatezza sul suo straordinario viso.

D’improvviso, mentre con grande abilità la ragazza si occupava del mio vetro, mi è venuto spontaneo parlarle in russo.
Infatti si trattava di un’ucraina e il nostro dialogo, durato pochi minuti, è stato come una fresca ondata di sollievo.

“Come mai pulisci i vetri?”
“Sono la cosa più facile da pulire. Io sono laureata in Biologia, ma qui da voi la mia laurea non conta nulla”.
“Perché sei partita dal tuo Paese?”
“Il mio uomo è stato ucciso dalla mafia russa il giorno del matrimonio e io non sopportavo più di vivere nella stessa città”.

Noto che rallenta i gesti e sta cospargendo di acqua per la terza volta il mio vetro.
Così, da vicino la sua bellezza è incomparabile, credo di non aver mai visto una creatura tanto soave e perfetta.
Gli altri automobilisti, pazienti, guardano e aspettano il loro turno.
I sorrisi della ragazza sono ormai patrimonio comune.

Tolgo di tasca un biglietto da cinque euro e glielo porgo.
La ragazza fruga in una sorta di piccola borsa, estrae quattro monete da 1 euro e me le mette in mano.
“Un euro prego”. Mi dà il resto mormorando un antico proverbio russo: “La bellezza non si paga.”

Questo senso delle proporzioni e la sua infinita dignità mi ricordano i due anni vissuti a Mosca, dove ho conosciuto un popolo oppresso dalla dittatura, che conservava in ogni suo comportamento il senso della misura e una inesauribile onestà.

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