Una sensazione che i francesi chiamano frisson, un misto di paura ed eccitazione insieme. Questo si legge dalle parole di Veronica Olivotto mentre cerca di riassumere la sua vita in un’unica, precisa emozione. Inizia di nuovo il momento delle valigie per la 33enne di Monza, che a metà agosto si trasferirà a New York dove ha vinto un dottorato di quattro anni alla Milano School of International Affairs, Management and Urban Policy in Politiche pubbliche e urbane. Gli scatoloni iniziano ad ammucchiarsi nella sua casa di Rotterdam, città dei Paesi Bassi dove ha vissuto per quasi otto anni. Perché dopo una laurea in Scienze del turismo e comunità locale all’Università Bicocca di Milano, Veronica ha scelto di trasferirsi prima a Edimburgo e poi a Rotterdam proprio per gli studi che offrivano: un master in Ecoturismo la prima, un secondo master in Sviluppo e gestione urbana la seconda.

Alle spalle, un’esperienza chiusa con il mondo dei tour operator. “Più che far viaggiare gli altri volevo viaggiare io e allo stesso tempo approfondire la conoscenza critica del turismo”. Dal 2011, infatti, la 33enne lavora come insegnante, ricercatrice e consulente all’Institute for Housing and Urban Studies (IHS) di Rotterdam, un istituto no profit dell’Erasmus University dove è dietro la cattedra in un corso in rischio urbano e cambio climatico. Ancora per qualche mese, almeno, visto che ad agosto inizierà l’esperienza nella Grande Mela. “I costi della vita a New York sono esorbitanti e mi preoccupano molto. Al momento posso permettermi solo il primo anno grazie a un mix di borsa di studio e risparmi. Ma sono alla ricerca di fondi per dottorati, anche provenienti dal governo italiano”. Nel mentre, IHS le ha concesso un anno sabbatico in cui il suo contratto sarà mantenuto a zero ore. Rotterdam, quindi, resterà la casa pronta ad accoglierla, se qualcosa dovesse andare storto.

I costi della vita a New York sono esorbitanti e mi preoccupano molto. Ma cercherò fondi

“Con certezza affermo che in Italia non avrei mai avuto le responsabilità affidatemi qui negli ultimi anni senza un dottorato”. E non si tratta solo della possibilità di insegnare a studenti di un master, coordinare corsi di formazione nelle Filippine e in Perù e formare ufficiali del governo, professori e ong impegnate in processi decisionali su quali azioni intraprendere per adattare la propria città al clima che cambia. Si parla di un ente che, come vuole la legge olandese, al terzo contratto l’ha assunta a tempo indeterminato.

“In Italia siamo stati molto bravi a commercializzare la nostra storia per gli stranieri fin dai tempi del Grand Tour. Ma questo abuso che il nostro Paese ha fatto della contemplazione del passato ha funzionato, in età moderna, come alibi per la poca innovazione della filiera turistica o, nel peggiore dei casi, in mala gestione dei flussi turistici”. Tanto che Veronica, appassionata turismo e sostenibilità, in Italia si era resa conto fin da subito di stare studiando “turismo e comunità locale in un Paese che vive del retaggio della sua storia e civiltà”. E quando un’interesse ti spinge a riflettere sul tuo Paese, i tuoi orizzonti si allargano quasi automaticamente e ti portano a mettere la tua passione in valigia, diretta verso nuove mete.

Se dovessi decidere d’intraprendere un’idea che ho in Italia mi piacerebbe appoggiarmi a una università, ma convincere i rettori forse sarà impossibile

Certo, con papà italiano e mamma scozzese, le sue radici hanno sicuramente influenzato la sua propensione allo spostamento e a conoscere culture diverse. Forse Veronica tornerà in Italia tra una decina d’anni. “Ma prima vorrei fondare una compagnia che sia interfaccia tra governi locali, società civile e privati, aiutando a disegnare politiche di adattamento al clima che vedano il cittadino come agente attivo e non solo come ricevente di queste politiche”. Dal suo appartamento ormai pronto a vederla partire, al secondo piano, una grande finestra del salotto le permette di vedere il fiume Maas dove chiatte da tutto il mondo transitano verso il porto di Rotterdam. “Se dovessi decidere d’intraprendere questa idea in Italia mi piacerebbe appoggiarmi a una università, ma convincere i rettori forse sarà impossibile. Vedo difficile anche l’iter della consulenza indipendente, tra tasse, burocrazia e scarsi fondi”. Non resta, per il momento, che tentare la via americana confidando, in caso contrario, nel rientro in Olanda. “Un territorio che, nel bene e nel male, considero la mia seconda casa”. La prima è l’Italia? “La prima è la mia famiglia”.

Articolo Precedente

Lavorare in Canada, perché è così difficile?

next
Articolo Successivo

Ingegnere a Londra. “Avrei voluto restare in Italia, ma ho vissuto solo il girotondo di contratti a termine”

next